Pagine di storia
Il ponte romano di Campofranco

In territorio di Campofranco, a valle del torrente Gallo d’Oro, si conservano i due tronconi di un grande ponte, noto come «ponte romano», crollato il 22 luglio 1980. Sicuramente più volte danneggiato e ricostruito, è notizia certa che nel 1742 la Deputazione del Regno di Sicilia diede incarico di riedificarne uno nuovo; che nel 1815 Antonino Lucchesi Palli lo fece restaurare; che fu interessato da nuovi interventi nel 1931 e nel 1940.
Secondo alcuni studiosi questo ponte sarebbe stato presente già nell’Itinerarium Antonini, una cartina topografica ante litteram che registrava le stazioni e indicava le distanze tra le località site lungo le strade dell’Impero romano. Il ponte, che ancora in anni recenti collegava Milena con Campofranco, avrebbe potuto rendere più agevole il collegamento tra il centro agricolo della Sicilia e il grande caricatore di Agrigento.
Sull’ormai introvabile L’itinerario arabo-normanno Sutera Agrigento nel libro di Al Idrisi, Angelo Cutaia fa un’analisi accurata dell’origine e della funzione di questa struttura, alla luce del percorso in direzione sia di Agrigento che di Licata, e apre una serie di interrogativi ancora in attesa di risposta. Riporto integralmente il contenuto del paragrafo, che merita di essere apprezzato nella sua interezza e in ogni singolo dettaglio (note comprese). Questo il testo:
Il “Ponte Antico” sul Salito fu ricostruito da Federico II?
Il lungo itinerario idrisiano veniva imposto dalla necessità di evitare i corsi d’acqua ed i terreni acclivi o accidentati a scapito della brevità del tragitto e del tempo di percorrenza. Sicuramente al tempo di Idrisi, ovvero nella metà del secolo XII, non vi era ponte sul Salito (né tantomeno sul Plàtani), altrimenti la strada non sarebbe passata dal passo sotto il Piano di Mola, cioè in un punto in cui l’affluente del Plàtani facilmente si guada, e quindi compiere l’ampio giro attraverso Bompensiere, Monte d’Oro, Gargilàta, Gibillina ed Al Minsciàr.
È molto probabile che il percorso idrisiano sia stato accorciato in epoca sveva, mediante la costruzione di un ponte, posto sull’affluente Salito, nell’unico punto utile per aggirare il Plàtani ed evitarne il guado nella gola del Passu Funnutu.
Degli indizi ci inducono ad ipotizzare la sua antica esistenza: la sovrastante fortificazione alto-medioevale sul monte dello Zubbio, oggi monte Conca[1]; il toponimo Minzioni a sud dello stesso, probabile alterazione di mansione ed i resti di una strada selciata che si dirige verso il casale arabo-normanno di Milòcca, sorto esattamente sul sito di un abitato romano.
Le tensioni etniche seguite alla morte di Ruggero II (1154) e l’instabilità politica fino al 1220, mi fanno dubitare che in quel lasso di tempo si sia potuto avere un maggior interesse nei riguardi della viabilità.
Le condizioni storiche per una ripresa della realizzazione e cura delle strade del regno si verificheranno con la energica ricostituzione dell’assetto statale, in senso centralistico e autocratico, da parte di Federico II.
Si può ipotizzare che la blindatura della Sicilia, iniziata sin dal 1220[2], nonché la realizzazione o il riadattamento delle strade, abbia portato alla ricostruzione del ponte romano di cui dovevano essere visibili i resti. Alla motivazione strategica è da aggiungere quella economica, che determinò, nella stessa zona, la costruzione della strada Gibillina – Racalmuto: avvicinare ed immagazzinare nel Castello di Racalmuto, ad una giornata da Girgenti ed a due da Licata, il grano prodotto nella feconda Alta Valle del Plàtani.
La strada selciata dopo Milòcca attraversava Portella Li Biàli alla volta di Racalmuto, ove venne innalzato l’imponente castello[3]. Se il ponte fu costruito per superare il Plàtani in direzione di Agrigento, come mai la strada si dirigeva a Racalmuto e non prendeva la scorciatoia per Serra di lu Parcu, passo del casale di Burgio, Grotte, Racalmari, Ranciditi, Minaha, Agrigento? Forse perché nel tratto fra la Serra del Parco ed il passo del casale Burgio rimase sempre mulattiera[4], mentre il diverticolo Milòcca, abbeveratoio Mangarelli, portella Li Biàli, Quattro Finaiti[5], Racalmuto procede sempre sul displuvio di torrenti ed in definitiva assicurava una maggiore stabilità alla sede stradale.
La strada si dirigeva poi a Licata, il cui caricatore era punto privilegiato di ammasso del grano. Infatti il suo porto era inserito fra quelli demaniali (portibus nostris) e per la sua difesa fu edificato un castello a mare. Da qui l’Imperatore poteva gestire al meglio il commercio dei grani, che intendeva sottrarre al monopolio delle repubbliche marinare.
Agrigento, pur essendo dotata di una turris maritima a guardia del caricatore decantato da Idrisi, forse fu trascurata dagli svevi. Probabilmente poiché la città non era affidabile, in quanto si era alleata durante la minore età di Federico con i saraceni in rivolta, o perché vi duravano gli effetti dei guasti della guerra dei musulmani. Il suo hinterland accusò il colpo della deportazione dei villani saraceni al punto che la Chiesa si dichiarava al tutto impoverita per la loro perdita.
Il “Ponte Antico”, nella sua prima edificazione (o riedificazione sulle vestigia romane), fu dunque realizzato assieme al Castello di Racalmuto nel contesto della militarizzazione della strada Sutera – Agrigento nella prima metà del secolo XIII? Non abbiamo ancora dati storici per provarlo.
Dal notevole numero di realizzazioni federiciane si evince che, oltre ai terreni e boschi demaniali di origine normanna, saranno stati avocati alla Corona i possedimenti dei gaiti saraceni, scacciati definitivamente dagli anni Venti del secolo XIII, in modo da iniziare quell’ambizioso progetto di trasformazione del territorio che solo recentemente si va delineando nella sua grandiosa concezione.
Il problema della individuazione della nuova viabilità nel periodo svevo è alquanto complesso, poiché si intrecciavano fra loro le strade militari di grande percorrenza con quelle locali, colleganti gli insediamenti demaniali o i sollazzi.
La strada Palermo – Agrigento, sotto gli Svevi, continuava ad essere trafficata, talché la Chiesa agrigentina si era riservata il diritto di albergo gratuito, a una giornata da Palermo, nel casale Rahal Biat[6], presso Castronovo[7], che aveva ospitato S. Gerlando[8].
Il tracciato idrisiano probabilmente fu ancora utilizzato nel tronco da Racalmuto, via Favara, sviluppatasi in quegli anni attorno al nuovo Palazzo Svevo a scapito del casale Al Qattà, ad Agrigento, la Magnifica città demaniale.
Invece il tratto Sutera – Gardutàh – Gibillina – Al Minsciàr poté essere stato soppiantato dalla strada Sutera – Feudo Fontana delle Rose – Ponte di Campofranco[9] – Portella Li Biàli – nuovo castello di Racalmuto, solo nell’ipotesi che il ponte sul Salito-Gallo d’Oro fosse stato costruito nell’ambito delle nuove realizzazioni federiciane.
[1] Sulla cima del colle, fra i resti dell’abitato, si è rinvenuto il sigillo in piombo di epoca araba e la moneta di Guglielmo II delle foto.
[2] Nell’assise di Capua (1220) si fece obbligo ai feudatari di demolire o cedere al Demanio le fortezze edificate a partire dalla morte di Guglielmo II (1189).
[3] Di cui avanzano le due belle torri cilindriche, di pura matrice federiciana ed il mastio quadrato occultato dalle superfetazioni.
[4] In quanto poggiava su terreni argillosi, franosi ed attraversava il torrente sottostante il Monte del Parco ed il torrente Coda di Volpe, convergenti sotto il Cozzo Tondo di Gisura. Dall’ar. giazira, isola. Infatti la contrada Gisura è un’isola di terreno coltivabile fra suoli poco vocati.
[5] Ar. finaita, confine, perché vi si incrociavano i limiti di feudi oggi in territorio di Grotte, Racalmuto, Milena, Campofranco
[6] Ar. rahal biat, ‘il posto di ristoro della grande casa’.
[7] Collura, Libellus, p. 305: et alia ecclesia in casali Balnearie, quod dicitur Rahalbiat,… et episcopus debebat inde habere procuracionem, et archidiaconus et canonici transeuntes et reddeuntes Panormo. La biat, dovette essere un vero e proprio albergo, dei cui proventi godeva la chiesa di S. Maria di Bagnara in Calabria. Il Libellus fu redatto dal Vescovo Rinaldo di Acquaviva, insediatosi nel 1244.
[8] Collura, Libellus, p. 307: Sanctus Gerlandus, ab Urbe reddiens, transiens per Balneariam…
[9] Ante litteram poiché Campofranco fu fondato nel 1573.

Doriana Consiglio
(Pubblicato il 28.02. 2018)