Storia
della Banda Musicale di Campofranco
Un’altra pagina scritta da Antonio Curcio
“A
Campofrancu chiantanu cipuddi e spuntanu musicanti” (detto popolare)
Nel corso degli
anni mi è capitato parecchie volte di sentire la frase sopra citata che dice
tutto sulla prolificità di Campofranco in materia di talenti musicali.
Quest’affermazione tradisce, a parer mio, anche una punta d’invidia in chi la
pronuncia. Il talento musicale, evidentemente, è nel patrimonio genetico di
buona parte dei campofranchesi. Certo è che, in oltre un secolo d’attività del
Corpo bandistico di Campofranco, i risultati conseguiti sono tali che in questa
frase possiamo leggere un esplicito riconoscimento di una nostra specifica
peculiarità.
Purtroppo,
quella della banda è una storia non scritta, e questa mia testimonianza, non
può che un piccolo contributo personale nella rievocazione e documentazione di
decenni di storia, aneddoti, circostanze, fatti, persone e personaggi in buona
misura definitivamente assicurati all’oblio.
Alla banda
musicale sono legati molti ricordi della mia giovinezza.
Da ragazzo,
parecchie volte mi capitava di sentire narrare ai più “anziani della banda”
fatti dei tempi andati e mi colpiva spesso l’enfasi narrativa con cui si
ricordavano certe circostanze: sembrava si parlasse di gesta mitiche di coloro
che se n’erano resi protagonisti. Di parecchi di loro, i musicanti, non ho mai saputo che lavoro facessero nella vita, li ho
conosciuti come tali e tali sono rimasti nella mia mente. Spesso ho avuto
l’impressione che nella loro vita non ci sia stato altro che la musica.
Col passare degli anni, ripensando a quei
racconti e calandoli in un verosimile contesto storico -quale ad esempio il
secondo dopoguerra, dove fame e miseria erano pane quotidiano- quella loro
enfasi narrativa assume oggi un significato particolare. Quanto doveva essere
importante la musica e cosa rappresentava per loro, i musicanti, a quei tempi?
Rifugiarsi nella
musica, in luogo delle odierne distrazioni, per dimenticare i problemi
quotidiani nel tentativo di ritemprarsi, doveva essere quanto di più sano al
mondo.
Quella della
banda musicale è stata una rarissima quanto sana esperienza di vita per noi ex
ragazzi campofranchesi, almeno fino alla fine degli anni Settanta. Le
opportunità di svago di allora erano esigue, se paragonate a quelle d’oggi, ma
non per questo peggiori, anzi. A tale riguardo l’analisi sociologica che se ne
può fare depone sicuramente a favore di quell’esperienza, allorquando, non
disponendo delle “distrazioni” dei mezzi elettronici odierni, si era costretti,
in senso buono s’intende, a socializzare con gli altri ragazzi. E per fortuna
era così. In parte anche le “distrazioni” del nostro tempo hanno determinato un
progressivo, quanto inesorabile, calo d’interesse dei ragazzini verso
l’esperienza musicale (questo dato è confermato dall’assenza di un
significativo ricambio generazionale in seno alla banda). Quell’esperienza
iniziata così, timidamente, magari per caso, ha animato alcuni di noi fino ad
orientare le nostre scelte esistenziali facendo della musica una ragione e, nel
mio caso, anche una maestra di vita.
Ovviamente una
scelta e un traguardo siffatti sono lontani anni luce dall’esperienza musicale
che si può concretizzare in una banda poiché presuppongono un rigore ed una
disciplina notevoli per potersi accostare ad un mondo e ad un repertorio che
non perdonano défaillaces di tipo dilettantistico.
Nella mia quasi
quarantennale esperienza d’insegnamento ho potuto sperimentare che la pratica
di gruppo, sia essa musicale, coreutica o sportiva, rappresenta la migliore
strategia per formare il cittadino all’osservanza delle consegne, alla
subordinazione, al rispetto reciproco, all’affinamento del gusto estetico,
all’ordine, alla sana competizione, dunque alla non violenza. Princìpi, questi,
che contribuiscono alla costruzione di una società sana.
Sulla passione
per la musica desidero in questa sede citare tre figure, tre esempi
significativi della mia infanzia musicale: Peppino
Pilato, Gaetanino Borrelli e Onofrio Ferlisi. Da loro, lontani da
Campofranco per ragioni professionali, ho ricevuto negli anni diversi messaggi,
verbali e scritti, d’incitamento e d’auguri per l’indirizzo da me intrapreso.
La loro
attenzione nei miei riguardi è andata ben oltre il semplice messaggio
affettuoso: in diverse occasioni mi sono visto recapitare a casa partiture e
spartiti, cosa che mi riempiva di gioia.
Peppino Pilato, ad esempio, in una lettera
allegata ad un pacco da me inatteso contenente spartiti, volendo giustificare
la sua iniziativa, semmai ce ne fosse stato bisogno, così esordiva: “Caro
Antonio, l’amore per la musica talvolta mi spinge ad essere eccessivo nei miei
atti. Ma tu comprenderai...”. (si riferiva al notevole contenuto del pacco:
un’autentica valanga di partiture).
Gaetanino Borrelli mi spediva, oltre ai messaggi,
anche ritagli d’articoli di giornali nei quali si parlava dei flautisti e del
flauto, il mio strumento.
Di Onofrio Ferlisi ricordo con affetto le
visite alla sua casa di via Olevano Romano, quelle volte che gli impegni
musicali mi portavano a Roma (mi riferisco all’inizio degli anni Ottanta).
Erano occasioni in cui i suoi discorsi assumevano il tono della rimembranza, i
pensieri si facevano rarefatti, mentre lo sguardo, perso nella cornice di villa
Gordiani, tradiva una buona dose di nostalgia circa i fatti narrati. Le sue
parole, i suoi concetti, unitamente al suo garbo, erano musica per le mie
orecchie. Nonostante le attenzioni nei miei riguardi siano cessate con la loro
scomparsa, credo, a volte, che in qualche maniera continuino!
La storia della
banda musicale di Campofranco annovera musicanti e maestri che io per ragioni
anagrafiche non ho conosciuto. La mia esperienza si limita agli anni Settanta.
Tra i maestri del passato che hanno ricoperto il ruolo di direttore ho
conosciuto in circostanze fortuite il M° Saia,
il M° Riguccio ed il M° Bosciglio, non vi è stata dunque
esperienza musicale diretta. Ritengo, tuttavia che il periodo aureo di questo
complesso musicale sia coinciso con gli anni Settanta, sia per il numero
elevato d’esibizioni sia per la qualità degli esecutori. In quest’epoca, al M° Borrelli subentra nella veste di
direttore Sarino Pera.
Gli anni
Settanta rappresentano una lunga stagione di affermazioni di questo complesso
bandistico su scala regionale, con espliciti riconoscimenti di stima e premi
vinti in concorsi riservati alla categoria. È il momento storico della Banda
che farà maturare ad alcuni di noi, non più musicanti in erba, scelte
significative in questa direzione. Ciò è in una certa misura dovuto all’
esperienza musicale più scientifica, almeno per la parte teorica, che Sarino Pera, ritenevamo, vantasse sui
suoi predecessori. Ma sbagliavamo. Quella conoscenza, seppur fortuita e tardiva
(mi riferisco agli anni Ottanta), di Bosciglio
e Riguccio era stata molto
indicativa dei loro curricula musicali e, soprattutto, del bagaglio delle loro
conoscenze di tutto rispetto, acquisito nelle sedi opportune. Salvatore Restivo, a tale riguardo può
confermare la portata di queste affermazioni, alla luce della sua esperienza,
lungamente protratta nel tempo, col maestro Bosciglio. A Sarino Pera va comunque il merito di essere riuscito a
mantenere coeso il Complesso bandistico per un così lungo lasso di tempo.
Diverse le
ragioni, a mio giudizio, che a partire dagli anni Ottanta determineranno un progressivo
declino di questo Gruppo, nonostante il tentativo di Totò Restivo e le sue competenze messe a disposizione della Banda.
Le iniziative intese a restaurare un organismo ormai privo d’identità, si sono
rivelate vane per due ordini di motivi: il mutato atteggiamento per l’assenza
di motivazioni valide nel proseguire tale esperienza; la parziale disponibilità
di alcuni musicisti - ormai tali di professione - verso quest’attività.
Inoltre, ragioni di ordine occupazionale hanno spinto altri a lasciare il paese
per cercare miglior fortuna altrove. D'altronde, la saltuarietà di
quest’attività era ben lungi dal consentire a costoro di sbarcare il lunario.
Nonostante la
teoria di direttori succedutisi negli anni Novanta non mi pare si siano
registrati cambiamenti significativi, e credo ciò avvalori l’analisi testé
espressa. È un epilogo un po’ triste ma di quest’esperienza preferisco
ricordare l’esordio.
Era il 21 marzo 1973, primo giorno di primavera e lo
ricordo solo per questo e - sebbene relativamente recenti- erano altri tempi.
Dirigeva la banda musicale di Campofranco il già citato Gaetanino Borrelli.
Fu proprio quel
giorno che trovandomi casualmente a fare compagnia ad un mio cugino, fui
coinvolto in quest’esperienza, insieme con altri ragazzini, senza che nessuno
mi avesse chiesto il permesso. Evidentemente era bastata la mia sola presenza
nello studio
della banda
musicale a far dedurre alla buonanima del M° Borrelli che volessi far musica. Ricordo ancora il suo sguardo
severo, reso ancora più penetrante dalle sopracciglia ribelli che facevano da
sfondo ad una scarsa capigliatura che odorava di brillantina, ma accuratamente
pettinata. Non proferii verbo davanti all’invito perentorio a studiare bene la
lezione assegnatami, e poi perché non avevo né il coraggio di oppormi né volevo
deludere il Maestro che così alacremente aveva trascritto davanti a me, su di
un quaderno, le prime nozioni di teoria musicale, se solo avessi svelato la
casualità della mia presenza. Impotente mi diressi a casa. Tornai una seconda e
poi una terza volta. Alla quarta lezione già mi chiedevo chi me l’avesse fatto
fare! Le conseguenze, si fa per dire, di quel mancato diniego a tempo debito,
le piango ancora oggi.
Un’altra cipudda era stata piantata.
Palermo, novembre 2005
Antonio Curcio
P.S. Questa mia
testimonianza va considerata monca dell’esperienza che questo gruppo musicale
ha messo a frutto negli ultimi 15 anni. Pertanto, le considerazioni sul suo
“declino” andrebbero oggi rivedute, corrette e rivalutate alla luce dei nuovi
talenti che ho avuto modo di conoscere ed apprezzare in quest’ultimo periodo.
Insomma, è il caso di dire: un bel mazzo
di cipudde!
(Vedere La Voce di Campofranco n. 508-2019)