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Festa di San
Calogero come 50 anni fa
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Muli bardati
portano “prummisioni” al Santuario
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sono bastati 50 anni, e non ne basteranno nemmeno 1000, a far
dimenticare l’antica tradizione dei festeggiamenti in onore di San
Calogero Eremita e la rievocazione delle “prummisioni”, le
offerte a lui devolute per invocarne protezione, benevolenza e
intercessione con la Natura.
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E così, come se
non avessero mai smesso, sabato 27 luglio 2019, vigilia della festa
di San Calogero,
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i muli bardati a
festa, con paramenti colorati e sonagli, carichi delle bisacce piene
di frumento, hanno attraversato le vie principale del centro storico,
accompagnati dal complesso bandistico “Michele Saia” di
Campofranco, per terminare la sfilata, innanzi al portone del
Santuario dedicato al Santo taumaturgo Calogero, dove i sacerdoti
hanno benedetto il grano, che successivamente servirà a
confezionare le particole eucaristiche. Grande emozione ha suscitato
la manifestazione nel numeroso pubblico presente, qualche lacrima per
gli anziani, che sono tornati indietro nel tempo rivivendo gli usi e
costumi della civiltà contadina, mentre per i più piccoli, tanta
curiosità nel vedere questi animali, i muli, a loro sconosciuti. Non
sono mancate le foto ricordo.
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Un ringraziamento
particolare va ai sacerdoti, all’arciprete padre Luciano Calabrese
e al suo vice padre Maurizio Nicastro, alla Confraternita del
Santissimo Sacramento ed il suo Governatore Rosario Nuara, al gruppo
folkloristico “Sicilia n’tu cori”, diretto dalla prof.ssa
Francesca Taibi, e infine agli amici di Ecomulo, Antonio Madonia e
Federico Bruno, per la loro fattiva collaborazione.
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Luigi Calogero
Mazzara
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La “pisata”
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La "pisata"
impegnava asini, muli o cavalli messi "a latu", in coppia,
che giravano calpestando le spighe; la "spagliata" o
separazione della paglia dal frumento, con l’aiuto del vento,
consisteva nel buttare in aria il frumento misto alla paglia con i
"tradenti": i chicchi ricadevano dentro l'"aria"
e la paglia andava, a mano a mano, a formare attorno ad essa una
specie di muretto detto "la margunata".
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La “spagliata”
poteva durare alcune ore, se il vento era favorevole, ma poteva
protrarsi per un’intera giornata e anche di più, tant’è che a
volte i contadini trascorrevano la notte all’addiaccio,
all'"agghiazzu".
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Alla fine della
“spagliata” il grano ben pulito veniva misurato con i "tummina"
(unità di misura agricola per cereali) e portato a casa propria, al
mulino, in genere, o al Consorzio Agrario, con gli stessi animali
utilizzati per la “pisata”. (Vincenzo
Nicastro)