Le confraternite e il volontariato

 a cura di don Alessandro Rovello

 

Pubblichiamo la relazione che don Alessandro Rovello, arciprete parroco di Campofranco, ha tenuto nel Convegno sulle confraternite tenutosi nella chiesa di San Francesco di Mussomeli il 19 maggio 2012. Eramo presenti tutte le confraternite della diocesi di Caltanissetta, compresa quella di Campofranco..

 

Quanto scrivo è una rielaborazione di alcuni concetti che ho espresso “a braccio” arricchendo il mio intervento, vista la peculiarità dell’uditorio, con riferimenti personali  alle diverse realtà che, per vari motivi, ho avuto modo di conoscere. La scelta che ho fatto per questo articolo è quello di mantenere il linguaggio “parlato” eliminando però ogni esempio e suggerendo alcune piste di riflessione che vanno approfondite nelle giuste sedi. Per questo mi permetto di suggerire un mio volume su la morale nei movimenti ecclesiali, che uscirà per la EDB,  nei prossimi mesi in cui saranno presenti anche numerose citazioni e approfondimenti specifici. Prima di addentrarci nella riflessione, mi sembra importante  un ultima precisazione: ogni tema può e deve essere affrontato in modi diversi e da persone diverse. Un approccio è quello operato da studiosi di diversi campi e di diverso orientamento culturale e spirituale, un altro è quello realizzato da colui che partecipa, vive attivamente un’esperienza. Ovviamente  dobbiamo fare una sintesi accogliendo e sintetizzando il contributo di ciascuno nella consapevolezza dei limiti e nelle potenzialità di ogni ricerca e di ogni esperienza personale e comunitaria.

 

Partendo dai termini…

 

Il titolo del mio intervento è formato sostanzialmente da tre parole: confraternita, la congiunzione “e”,  il termine volontariato. Mi soffermerò soprattutto sul primo termine (confraternita) cercando di dimostrare che la congiunzione “e” è giusta ma deve anche essere un verbo (la è con l’accento) sia per la natura, per l’identità stessa della confraternita,  sia per dare una risposta cristiana ai problemi sociali, spirituali e ecclesiali che stiamo vivendo nella nostra epoca.

Prima di riflettere su questi temi è importante ricordare cosa si intende oggi, comunemente, per  “volontariato”. Questa espressione raccoglie in sé un universo di realtà e di persone che fondamentalmente, compiono delle azioni concrete e libere, fatte in forma personale o aggregata, (soprattutto) per affrontare e risolvere dei problemi (e) per poter vivere bene.

In questo senso oggi si dice che “si fa volontariato” sia quando c’è un’emergenza, sia quando le istituzioni ufficiali, “organizzate” (lo stato, la Chiesa etc.), non riescono a far fronte ad una realtà problematica.

Il volontariato, dunque  è collegato all’idea di un lavoro (anche non materiale), realizzato gratuitamente e con responsabilità per il bene degli altri.

Esso cioè rappresenta una risposta concreta da parte di persone capaci  e disponibili, che mettono a disposizione degli altri il proprio tempo, i propri talenti e, in qualche modo, la propria vita. Le forme, i modi e i tempi del “lavoro” del volontario sono ovviamente diverse a seconda del servizio da svolgere, della disponibilità  e delle capacità personali e/o dell’aggregazione a cui si appartiene.

Questa esperienza può essere più o meno prolungata nel tempo e diventare, per consuetudine, normale e normativa in determinate occasioni.  

Il volontariato è realizzabile da ciascuno, ma diventa molto importante nell’esperienza del cristiano perché da sempre è visto come la manifestazione di una delle tre virtù teologali, la carità, che devono caratterizzare la vita dei discepoli del Signore. L’azione libera e volontaria del credente orientata al benessere degli altri, viene comunemente intesa come prova tangibile dell’Amore di Dio e per Dio.

I riferimenti biblici e storici in questo senso, sono innumerevoli. Basti pensare al comandamento dato durante l’ultima cena e concretizzato con il gesto simbolico della lavanda dei piedi. 

Sorge, tuttavia, un grande problema: visto che la confraternita non si occupa di “risolvere le emergenze” né è formata da persone specializzate in alcuni campi… al di là di una generica adesione al messaggio evangelico dell’amore reciproco, esiste una relazione tra le confraternite e il volontariato? E se esiste tale relazione, quali  forme ha assunto e quali, eventualmente, dovrebbe assumere?

 

Uno sguardo alla storia

 

Per rispondere a queste domande facciamo un tuffo nella storia delle confraternite.

La confraternita, infatti, come diremo più volte per memorizzarlo meglio, è una realtà che vive nella storia. Da essa è condizionata ed essa, in qualche modo, può condizionare se e quando si percorrono le strade adatte e si utilizzano le giuste strategie d’intervento. Una  conseguenza di questa constatazione è che la confraternita è - e deve essere - una realtà dinamica, fedele a se stessa, alla propria identità, alla propria storia, alla propria specificità, ma anche attenta alle mutate condizioni antropologiche e morali sia dei confratelli, sia del mondo, del territorio, della società in cui essa vive.

È  dunque importante comprendere le coordinate storiche e geografiche, in cui le confraternite sono state presenti. Per questo ricordiamo solo brevemente che la società del cinque-seicento in cui si svilupparono, soprattutto nel sud dell’Italia e in Sicilia, le prime forme di queste aggregazioni ecclesiali, era caratterizzata da un profondo antropocentrismo. L’uomo veniva posto al centro di tutto, con tutte le conseguenze che questa impostazione di pensiero portava…

Tuttavia dell’uomo veniva valorizzata la sua dimensione emotiva (si pensi allo sviluppo del genere poetico) e o razionale, mentre si relativizzava o si rileggeva con nuove categorie la dimensione trascendentale e quella relazionale. Paradossalmente il “tempo dell’uomo” diventava il “tempo dell’individuo” non il tempo delle persone!

Anche a livello ecclesiale, pur essendoci, come in ogni epoca storica, alcuni santi che manifestavano il primato del vero Amore come apertura multidimesionale all’Altro e agli altri, si sviluppò una spiritualità della salvezza della propria anima, non dell’intero uomo e dell’intero popolo di Dio. Si sviluppa anche l’idea di una spiritualità dell’io peccatore che ha bisogno di fare penitenza. Accanto a questi approcci,però, (anche come risposta al movimento protestante che aveva messo in crisi i sacramenti e l’idea di comunità ecclesiale), si pensa e si realizza un evento conciliare (il concilio di Trento) diverso dai precedenti e si valorizzano quelle forme aggregative che promuovono e difendono gli ideali cattolici.

Tra queste le confraternite che, pur essendo realtà prettamente laicali,  si collegavano a delle congregazioni religiose maschili e femminili  e ponevano al centro della propria vocazione il servizio agli ultimi. In esse c’era sempre un legame con la gerarchia ecclesiale, ma anche quella giusta autonomia e creatività tipiche dell’esperienza laicale cristiana.

Nelle confraternite  non occorreva  consacrarsi o frequentare scuole di teologia, ma si proponeva “un ambito di vita cristiana […] dove vivere l’appartenenza ecclesiale a Cristo”.

In esse si sviluppava l’idea della “salvezza cristiana” mediante la partecipazione ai sacramenti, la carità verso il prossimo, l’osservanza di regole morali e di un particolare stile di vita.[1]

Insomma, sin dal loro sorgere, le confraternite legano strettamente la vita spirituale con una vita morale differente rispetto al resto del mondo.

Si suggeriva, ai confratelli  “una vera devozione nutrita con la preghiera e con i sacramenti e con le piccole virtù che permeano il loro comportamento”[2].

 

In questo senso le confraternite diventano il luogo prezioso dove:

1.                  pregare (la sede era /è negli “oratori” cioè in  luoghi di preghiera), 

2.                  vivere il culto all’eucarestia (quarant’ore, processioni del Corpus Domini etc.) intesa come sintesi di tutti i sacramenti,

3.                  onorare i santi.[3]

4.                  Incontrarsi da cristiani

5.                  Aiutarsi e aiutare gli altri. 

Questi elementi presenti, anche se con forme diverse, nelle varie confraternite, dicono che profeticamente si realizza – almeno nell’ideale – un’esperienza del popolo di Dio che, in comunione con i sacerdoti (assistenti, padri spirituali), vive esperienze di laicità cristiana.

I confratelli, si relazionano con Dio nella Chiesa, camminando con Lui o con i suoi discepoli (i santi), rivestiti degli abiti battesimali (il camice bianco è la base di quasi tutti gli abiti confraternali) arricchiti da altri segni (mantelline, e scapolari) che indicano una nuova consapevolezza e una missione nel mondo. Da credenti adulti coloro che dopo un tempo di preparazione iniziano un nuovo cammino insieme, vivono la dimensione della penitenza, ma anche quello della festa, si impegnano a intervenire per aiutare in ogni fase della vita (anche nel momento della morte, con le tombe…) gli altri “fratelli” e le loro famiglie. Le modalità di questo servizio erano diverse: dalla raccolta e ridistribuzione di parte del grano alle prime forme di banche…

La carità cioè era esercitata soprattutto – ma non esclusivamente- ad intra, come modalità per dimostrare la fraternità cristiana. Sulla stessa linea si pone il “servizio liturgico” realizzato soprattutto attraverso la partecipazione attiva alle processioni.

Si trattava  (e si tratta) in fondo,  di un bene “diverso”, non materiale , ma spirituale sia per i confrati sia per il popolo di Dio, che veniva aiutato a pregare e a camminare con il Signore.

La pietà popolare, infatti, cioè la spiritualità vissuta dal popolo attraverso le pie pratiche (processioni etc.) ha avuto un grande valore nella storia della Chiesa e nella cultura dei territori, collegando i principi teologici e l’idea di Dio con la verità dell’uomo attraverso un linguaggio simbolico-narrativo unico e irripetibile. Si pensi ad esempio al modo di vivere la Settimana Santa in tanti nostri paesi: è un dramma sacro, una epifania, una manifestazione visiva, di un mistero d’amore che coinvolge tutti.

Tutto questo bagaglio di esperienze, che potremmo chiamare in qualche modo di volontariato, si sono mantenute nel tempo anche se, sia  all’interno della Chiesa, sia nella società,  si sono sviluppate altre forme di cooperazione e di aiuto verso i bisognosi (si pensi alle casse rurali etc.) e si è modificato il welfare, lo stato sociale. Sono inoltre mutate le condizioni e la comprensione del nascere, del vivere e del morire, che hanno inciso nella mentalità comune e quindi anche in quella del confratello che è diventato un po’ meno solidale rispetto al passato. 

Negli ultimi decenni, infatti, si è modificata la società che non è più formata da piccole comunità di famiglie “vicine”, ma da individui che “dormono” in più o meno grossi agglomerati di case vivono in città e mondi virtuali dove si frequentano di più gli amici di internet piuttosto che quelli della strada. Questa nuova realtà in cui il confratello vive rappresenta forse la sfida per essere e vivere da cristiano la dimensione del servizio, del volontariato sia come singolo sia insieme agli altri.

Forse bisognerebbe riflettere insieme oggi, nella nuova fase di crisi di cui sentiamo parlare tanto, se e come tornare ad intervenire da cristiani e da “cristiani aggregati” per affrontare e superare i problemi del nostro tempo sia nel versante economico sia sul versante educativo (il problema delle giovani generazioni è sempre esistito, ma ora è- secondo me- drammatico), sia su quello delle relazioni interpersonali a diversi livelli (amicizia, famiglia gruppo comunità etc.) 

 

Dal passato al presente.

Questi elementi di cui abbiamo parlato, sono “storici” nel senso che appartengono alla vicenda delle confraternite sin dalla loro nascita e, come abbiamo detto, si sono mantenuti più o meno invariati lungo i diversi secoli e le diverse vicende anche hanno attraversato la società e l’esperienza della Chiesa. Ovviamente come tutte le esperienze umane, la vita e la qualità della confraternita e la sua  relazione con la dimensione del volontariato, ha avuto vicende alterne, momenti di crisi quantitativa e qualitativa, problemi profondi per cui – soprattutto in alcuni luoghi e in alcuni tempi – sono state chiuse determinate realtà o si sono fortemente indebolite…

In alcuni casi le confraternite sono viste come obsolete e antistoriche, come realtà eccessivamente “autonome” e legate soltanto al buon funzionamento delle processioni. Forse c’è stato, al di là delle lacune del clero in questo campo, anche la mancanza di capacità di  trasformarsi (come accennavamo precedentemente) e di adattarsi alle mutate condizioni culturali e spirituali del tempo.   

Le confraternite, infatti,  sono inserite in una storia ben precisa: nascono e si sviluppano in un preciso tempo e in luoghi concreti (parrocchie, paesi, territori) che pur nel legame con realtà più vaste (diocesi, province, etc.) hanno determinate caratteristiche peculiari che incidono nella vicenda della confraternita e dei suoi aderenti. Soprattutto, ma non esclusivamente, per la nascita e lo sviluppo di determinate tradizioni. La “localizzazione” e la temporalizzazione delle confraternite, possono essere un dono prezioso, se ben indirizzati e se il legame con un territorio e un tempo, non diventa chiusura. La storia di un gruppo, infatti, se non viene riletta alla luce di un progetto più ampio, “divino” e collegato al futuro, rischia di essere una realtà morta o destinata a morire; rischia di creare o di ricreare stanche e vecchie strutture che non hanno nessuna utilità e che non portano nessun beneficio a nessuno.

Concludendo pensiamo positivamente alla “confraternita” come un’opportunità preziosa per un volontariato attento alle reali esigenza dell’uomo perché essa è volontariato, ma, ancora di più, è segno e simbolo di Cristo, Amore incarnato.

Il confratello o la consorella, vivono nel loro tempo con le gioie e le speranze, le delusioni e i problemi di ogni adulto. E tuttavia, da cristiani, gradualmente imparano (e devono imparare) a vedere tutto in una prospettiva nuova, diversa, salvifica e redentiva, cristiana appunto.

Questo ridarà alle confraternite, alla Chiesa e alla società intera quello slancio e quella forza che li farà affrontare e superare tutte le crisi della storia.

In questo senso, nell’invito per il raduno nazionale delle confraternite del 2012, troviamo questo messaggio:” La rinnovata vitalità delle Confraternite ,visibile su tutto il territorio nazionale, è segno dell'attualità della loro proposta ecclesiale che trova radici profonde nelle tradizioni di fede, pietà popolare e carità che da secoli sono stati esercitati dai confratelli e dalle consorelle.

[…] Invitiamo tutti ad una grande partecipazione ricordando che ciascun confratello e consorella deve sentirsi protagonista nel testimoniare con la vita la novità che Cristo ha portato nel mondo, ed operare nel quotidiano con amore , fraternità, giustizia e carità.

Con la Speranza di continuare ad incidere con i nostri atti e testimonianze nella vita sociale di oggi e domani…”

Don Alessandro Rovello

 

N.d.R-: vedere “Le Confraternite e le Opere Pie” di Salvatore Nicastro, La Voce di Campofranco n. 249 (aprile-maggio 1987) e n. 251 (luglio-agosto 1987).

 



[1]  Cfr. G.Dumeige, Storia della spiritualità, in: NDS , pp. 1558- 1563.

[2] G.Dumeige, Storia della spiritualità, in NDS , p. 1565.

[3] I santi vengono visti come persone concrete ma “diverse”, sante appunto, modelli del  e per il popolo che cammina verso l’incontro con il Signore, il paradiso. Si modifica in questo senso l’iconografia per cui i le statue dei santi vengono fatte a misura d’uomo, ma poste nelle nicchie in una parte alta della Chiesa, in modo da essere visibili , portate a spalla nelle processioni in mezzo, ma sopra il popolo che cammina insieme.