Nel cuore d’Inghilterra.

Note di viaggio fra gli emigrati (15-29 settembre 2011)

di  Salvatore Falzone

1.                   Territori e migranti

Le Marche è una regione di confine con il Galles; le massicce mura di Chester richiamano al turista le sanguinose guerre tra gallesi, baroni normanni e signori delle Marche. A Gloucester una cattedrale testimonia ancor oggi il fascino di epiche pagine della storia. Il cuore dell’Inghilterra è qui: pubs, Cotswolds, cioè colline tipiche del Gloucestershire, case in legno, chiese in pietra locale. Questa è la terra di Shakespeare; e nelle origini della sua famiglia c’è pure una vicenda di migranti.

Le strade rurali sono incantevoli; pochi i passanti, nei verdi pascoli le mucche trovano ristoro e nei boschi un saliscendi di scoiattoli fra i rami; il tutto esaltato da giornate favorevoli… un sole che dirada le nubi, a metà settembre dell’anno 2011; uno scampolo d’estate da non dimenticarsi più per un britannico abituato ad un clima mutevole; un cielo tanto instabile quanto solida è invece l’economia inglese che vari popoli attira ancor oggi nella speranza di fare fortuna.

Amina Wright e Ozzie Field sono andati all’aeroporto di Bristol per prelevare don Salvatore Falzone. Da poco è finito un periodo di piogge e il verde smagliante del paesaggio colpisce l’occhio di chi ha lasciato una Sicilia riarsa di due mesi. I tre raggiungono un pub; hanno in comune la dedizione per la Comunità dei figli di Dio. Nelle vicende familiari dei due amici inglesi c’è qualche traccia di migrazioni; dal nord verso il sud della Gran Bretagna, e viceversa.

Amina parla bene l’italiano perché ha frequentato i nonni di Milano. L’Italia è una seconda patria per lei. Ozzie porta nome e tratti che rivelano origini sàssoni. È sera tardi quando raggiungono Prinknash Park, nel cuore delle colline del Cotswold. Un monastero benedettino è la meta: il monaco Alphege Stebbens attende vigile davanti ad una porta. Da Prinknash un monaco è migrato un mese prima; padre Mark Hargreaves, conoscendo l’italiano, è stato incaricato come procuratore generale dell’ordine benedettino sublacense; e il suo posto di lavoro è ovviamente a Roma.

È un fatto che alquanti cattolici inglesi venuti a visitare la Toscana abbiano intrapreso un cammino di formazione monastica nella Comunità dei figli di Dio, nata a Firenze; c’è una certa affinità tra paesaggio e temperamento umbro-toscano da una parte, e paesaggio e temperamento sociale inglese dall’altra. Non a caso molti inglesi amano trascorrere le ferie in Toscana.

Padre Doroteo dall’Italia è venuto in Inghilterra per compiere una visita ai fedeli cattolici di Bath, legati alla Comunità toscana. Nel suo viaggio è accompagnato dall’assistente generale Vito Di Ciàula, di origini pugliesi. Il monaco Doroteo parla molto bene l’inglese, ma essendo stato in un monastero australiano porta un’inflessione poco british. Propagandista del gruppo è Adrian Pervan che ormai divide la sua vita fra l’Australia e l’Inghilterra.

Celebrata la messa in St Mary’s Church, al The Kennard Hotel di Bath si svolge un incontro, seguito da una seconda colazione all’inglese. Al centro dell’incontro è la signora Rosy O’Connor Baiano, eccellente anfitrione; il primo cognome sembra d’origine irlandese, mentre il secondo si spiega in quanto ha sposato un astigiano. Anche per lei che parla bene l’italiano con leggero accento piemontese, l’Italia è una seconda patria. Ad Asti, dove si trova una colonia di campofranchesi, è vissuta per diversi anni.

 

2.                  Accenti, volti, santi

La leggerezza è la regola d’oro dell’ospitalità; né troppo presente, né quasi assente… e questo vale per i padroni di casa, come per gli ospiti. A Walton-on-Thames vivono i signori Grizzanti; ora hanno una veneranda età. Nella loro casa è abituale che i nipoti scorrazzino sotto il loro sguardo paziente e benevolo; accade così durante una breve visita in cui il piccolo Rocco si diverte un mondo a toccare e spostare ogni cosa. La casa fa l’effetto di un parco giochi ai bambini che vi transitano.

Giuseppe Grizzanti e Maria Alongi hanno origini da Sutera; lui è emigrato in Inghilterra alla fine degli anni cinquanta. Onofrio e Anna sono i loro figli. Walton, Hersham, Staines, Weybridge… sono le cittadine dove si trovano numerosi suteresi; qui è pure diffusa «La Voce di Campofranco». Woking è un’altra cittadina dove si possono incontrare suteresi, ma in questa città, appena fuori Londra, prevalgono oriundi da Mussomeli.

La missione cattolica italiana di Woking è servita dai missionari scalabriniani; padre Giandomenico Zigliotto è un sacerdote veneto che per un certo tempo si è formato in Brasile; ora in Inghilterra segue pure i fedeli di lingua portoghese, provenienti dall’Europa o dal Brasile. I suoi gesti e le sue espressioni sono tipiche di un cittadino del nord-est italiano. Nella sede della missione si trova un gruppo statuario che in piccolo riproduce il simulacro della Madonna dei miracoli, venerata a Mussomeli.

In visita alla missione italiana si trova pure il sig. Vincenzo Mingoia che vive ormai da decenni a Woking, tranne una parentesi di vita trascorsa nel paese natìo, a metà degli anni ottanta. I suoi tratti sono tipici di un lavoratore siciliano. Il suo accento e le sue espressioni riportano il dialetto siciliano puro, degli anni quaranta e cinquanta. L’emigrazione ha creato delle enclaves linguistiche.

St Dunstan’s Church è la chiesa cattolica di Woking; il parroco è di origine irlandese, la costruzione recente, l’aspetto complessivo gradevole e lineare. Non ci sono tante statue, com’è tipico delle chiese cattoliche; ad es. St Peter’s Church, la chiesa italiana aperta a tutte le nazioni, edificata nel secondo Ottocento a Londra.

San Dunstano (954-1012) era un arcivescovo di Canterbury e la chiesa di Woking rivela un’architettura austera e solenne, come molte chiese abbaziali che oggi sono adibite per il culto degli anglicani. Dunstano e Alphege, i santi del primo millennio, come tutti i martiri delle Chiese universali sono egualmente considerati nelle chiese anglicane; predomina la consuetudine di rappresentarli nelle vetrate o come piccole statue che adornano gli ingressi. All’uscita dell’anglicana Westminster Abbey una teoria di statuine raffigura i martiri del Novecento; sono i testimoni della fede in contesto di persecuzione; tra di essi Massimiliano Kolbe, Dietrich Bonhoeffer, Martin Luther King, la granduchessa Elisabetta di Russia, nipote della Regina Vittoria.

La St Peter è la chiesa-parrocchia dove opera don Carmelo Di Giovanni, di origini calabresi; la chiesa un tempo era il cuore della Little Italy di Londra; migliaia e migliaia erano gli italiani presenti nella zona, soprattutto napoletani. Molto affollata era la processione in onore della Madonna del Carmine. Dall’ultimo dopoguerra ad oggi la situazione è molto mutata.

Quando don Salvatore si trova a celebrare la messa insieme a don Carmelo, tra i pochi fedeli sono presenti ispanici e indiani, anzi cingalesi. Si dice messa, parte in italiano, parte in inglese; altrove c’è pure la consuetudine celebrare la messa in latino. Il fenomeno migratorio globale cambia pure le lingue da scegliersi per i fedeli cattolici romani. Non meraviglia che a Westminster Cathedral, nel cuore della City, un prete cattolico dica messa in latino con un accento inglese, mentre a Woking la signora Enza Consiglio, essendo cresciuta a Londra, parli il dialetto mussomelese con accento londinese. Il marito di Enza si chiama Paolino; questo nome presente in famiglia forse si deve al santo patrono di Sutera.

 

3.                   Cravatte, gioielli, scarpe e cibi

Nella società inglese sono più marcate le differenze di classe sociale; resiste una struttura classista. Avendo avuto anche una corte, dinastie reali, aristocrazie e titoli nobiliari, le etichette sociali non sono trascurate; anzi, vengono in risalto, anche dal modo di vestire. Nella City, cuore economico e amministrativo della nazione, si può incontrare un ricco petroliere arabo e un aristocratico inglese direttore di un gruppo bancario. Si portano cravatte o si indossano abiti orientali di lusso; lo chauffeur è all’ingresso della sede amministrativa, mentre le donne di alto rango indossano gioielli.

Sulla via Hatton Garden di Londra si incontrano ebrei, vestiti in abiti tradizionali. È una via dove si incontrano pure gioiellerie dalle vetrine scintillanti. Il grande manager, quando esce dal suo ufficio, non si reca a prendere il treno da uno dei terminal ferroviari; quantomeno un taxi è già pronto all’uscita. Ci sono molti forestieri, ma alcuni sono di lusso.

Molti gruppi etnici provengono dalle ex-colonie britanniche. Quantomeno sono di prima generazione rispetto agli anni cinquanta e sessanta quando centinaia di migliaia di persone giungevano dalle colonie d’Asia, Africa e Caraibi.

Ci sono molte donne in carriera e molti uomini d’affari; il cuore della City è un formicolìo umano impressionante, specie nell’ora di punta, quando alle cinque si esce dal lavoro; appena si trova un posto in treno o in bus, si estrae un sandwich da mangiare. Ci sono ormai negozi specializzati nei cibi da asporto; Upper Crust è diffuso nei terminal e sembra più frequentato per una seconda colazione del mattino; Marks & Spencer tiene ogni genere di pietanza in vaschette, fredda o da scaldare, da portare via nel pomeriggio o da gustare fuori orario.

Ogni occasione è in verità sempre buona per un pasto breve; il tempo per mangiare è in funzione del lavoro. La filosofia di vita inglese è: vivi per lavorare e lavori per vivere. Uscite dalla sede di lavoro molte donne, anche in tailleur, lasciano le scarpe eleganti e calzano semplici scarpe da tennis. Le scarpe, come l’abito e il cibo, sono in funzione dei ritmi di lavoro.

Afro-britannici, indiani e filippini, ispanici e italiani… amano la loro cucina; a Londra ci sono ristoranti di ogni nazionalità; il cibo arriva da tutte le parti del mondo. Ci sono pure modesti locali dove si può consumare uno snack nutriente. Le Signore è ad esempio uno snack-bar in Palace Street; all’uscita di The Royal Mews si può fare una piacevole sosta, e prendere un pasto all’italiana. Il locale è gestito da signore, per l’appunto; una di loro è di origini pugliesi, ma porta un accento milanese. Si trattiene qualche volta a parlare con i clienti. Degli italiani si può dire che sia un tratto tipico quello di concedere confidenza; lo stesso non si può dire degli inglesi.

 

4.                  Percorsi

La signora Santina, figlia di Calogero Dilena, è emigrata in Inghilterra, quando ancora era giovanissima; lasciava Mussomeli, anzi il suo quartiere, Sant’Enrico, perché il padre alla fine degli anni cinquanta tentava migliore fortuna. Il padre era stato per sette anni sotto l’esercito italiano; s’era trovato pure a sostenere la pesante campagna militare in Russia nell’ultima guerra. Di fibra assai tenace, era poi emigrato verso l’Inghilterra. Nello stesso periodo da un altro quartiere di Mussomeli, il Carmelo, si era staccata un'altra famiglia; tra le due famiglie c’era un filo di parentela. E così  la signora Giuseppina Sola, anche lei giovanissima, è cresciuta sul suolo inglese. Per certi versi, avendo imparato l’inglese da giovani sono state come una leva sociale per le famiglie nate dal loro matrimonio.

Gli operai italiani, emigrati alla fine degli anni cinquanta, lavoravano nelle farms, cioè aziende agricole, in condizioni assai disagevoli. Oggi al posto delle farms, a parte qualche azienda agrituristica, sorgono numerose villette costruite con sacrificio.

A Woking, negli anni sessanta e settanta, si è venuta a formare una colonia di migranti da Mussomeli, Acquaviva Plàtani e Sutera. Questo può spiegare pure la frequenza di matrimoni fra oriundi della stessa zona. «La Voce degli italiani» è stato un foglio di collegamento tra gli emigrati presenti in Gran Bretagna; padre Giandomenico è stato per diversi anni il curatore della rivista. Si può dire che il missionario scalabriniano e Vincenzo Mingoia conoscano Woking e dintorni, famiglia dopo famiglia.

Altresì, per l’archivio scalabriniano di Brixton Road don Salvatore lascia notizie relative ad un oriundo di Montedoro: Carmelo Milazzo. Questi era stato alunno del Seminario di Caltanissetta; dopo aver interrotto gli studi universitari a Roma, a metà degli anni sessanta aveva preso la via dell’emigrazione. Così ricordava la sua esperienza: «Qui in Inghilterra, come in Germania, in Francia, Belgio etc. ci sono delle bellissime chiese per italiani e quindi esiste una intensa attività pastorale per gli emigrati, specie per gli operai delle fabbriche fattorie etc. […] qui a Londra una volta ho notato in una chiesa italiana l’affissione degli annunci matrimoniali, di organizzazioni varie di festività e programmi di ogni genere. Era una domenica e c’era tanta di quella gente, tutti italiani».

Il sig. Vincenzo Sorce, marito di Giuseppina Sola, ha trascorso gran parte della sua vita in Inghilterra; è stato pure in Svizzera e a Torino. A parte una parentesi di lavoro in Sicilia, la sua carriera, e perciò la sua fortuna economica, si è realizzata in Inghilterra. Per molti versi questa è diventata la vera madre patria, quella che dà lavoro, offre emancipazione, riconosce diritti e assicura assistenza sociale.

Londra - Sicilia è pure un asse di trasporti; finanche a Woking è abbastanza conosciuto Gioacchino (detto Jachinu) un autotrasportatore di Campofranco che fornisce gli emigrati siciliani di ogni bene, specie di generi alimentari di Sicilia; viceversa gli emigrati spediscono mobili ed altri beni in Sicilia, là dove tengono case per le villeggiature estive. Di casi simili ce ne sono tanti altri; si potrebbe dire da ogni zona d’Italia c’è più di un asse di scambi commerciali verso qualche Paese nord-europeo.

Il Paese che sta oltre la Manica ha qualcosa di particolare; del resto nella terra di Albione si guarda al continente europeo come a un grande territorio oltremare. In sintesi si può dire che la società inglese è molto competitiva; richiede specifiche competenze professionali, sussiste di un regime economico concorrenziale, gode di una cultura neo-liberale. La Gran Bretagna ha solide tradizioni democratiche parlamentari e al tempo stesso conserva una monarchia come simbolo nazionale.