di Salvatore Carvello
La presente riflessione vuole essere solo un contributo alla comprensione del
fenomeno della pietà popolare, perché si pone solo e specificamente in una
prospettiva ecclesiale.
1.
PIETA’
Parlando di «pietà popolare», precisiamo che col termine «
pietà » intendiamo la manifestazione concreta della religione cristiana, secondo i vari e differenti contesti socioculturali,
religione vissuta nella quotidianità dell'esistenza personale, familiare e
comunitaria e caratterizzata da
varie pratiche e formule che esprimono l'amore filiale verso Dio e la devozione
verso Gesù,
Posto ciò, è estremamente facile ed evidente cogliere la
differenza sia storica che concettuale della pietà con il folklore, con la
magia e con la superstizione.
2.
PIETA’ E FOLKLORE
Il Direttorio per
Infatti il
folklore, di per sé, richiama soltanto e semplicemente la storia del costume e della mentalità,
rimanendo legato alle forme ormai superate
della società e dell'economia del passato, soprattutto di un passato
legato al mondo agro-pastorale. In
altri termini, il folklore è un residuo di usanze collettive o individuali
strettamente connesse con le modalità tipiche di vita, azioni e produzione di
una societas ormai tramontata, la cosiddetta civiltà materiale. Evidentemente
anche il folklore religioso o, meglio, che rievoca pratiche religiose del
passato, è una realtà puramente culturale che non richiede un atto di fede,
cioè un’apertura fiduciosa e confidente a Dio, né prevede un chiaro riferimento
all’istituzione ecclesiale. Tante attuali manifestazioni di folklore religioso
sono di fatto completamente desacralizzate e coltivate, e vengono riprese e
conservate in vita da soggetti non ecclesiali (o anche ecclesiali) con intenti di mera valorizzazione culturale
o a fini di attrazione talora solamente turistica. Anche questi eventi
folkloristici privi di un reale contenuto
di pietà, cioè non miranti a una relazione di amoroso riferimento a Dio, alla
Vergine o ai santi e quindi non rivelativi di un’adesione autenticamente
ecclesiale, non possono ritenersi pietà. A tal proposito, è ancora assai
illuminante quanto si legge nel Direttorio
per
3.
PIETA’ E MAGIA
Chiarita questa differenza, è necessario comprendere che la
pietà differisce ugualmente dalla magia, perché mentre la magia presume di
piegare le forze del divino, inteso come immanente nel mondo, a scopi sia
benefici che malefici (magia bianca e magia nera), la pietà realizza una
relazione umile con Dio, a cui ci si affida, di cui ci si fida e in cui si
confida. In tal senso, la pietà fa riferimento a Dio come essere trascendente e
sovranamente libero. E’ dunque evidente che tra pietà e magia non c’è e né può
esserci continuità o gradualità, ma radicale e assoluta discontinuità, un salto
qualitativo che distanzia inequivocabilmente l’una dall’altra.
Scriveva il compianto mons. Cataldo
Naro: “La magia non è un gradino più basso della
pietà. E la pietà non è la sublimazione della magia. Si tratta anche qui di una
differenza non solo concettuale ma concretamente percepibile per via
descrittivo-fenomenologica. Altro è il fenomeno magico e altro è quello
religioso. Si danno certo delle somiglianze (ad es. la struttura sociale del
rito e l'aspetto deprecatorio) ma si, danno anche più chiare e più nette
dissomiglianze (ad es. l'umiltà della richiesta o la presunzione del comando. È
vero che si danno anche casi di ibridismo magico-religioso, di incontro tra
elementi magici e culto religioso, non solo a livello soggettivo o di
intenzionalità ma anche nel senso di partecipazione alla mentalità di tipo
magico di uomini di Chiesa e di comunità ecclesiali e, perfino, di
coinvolgimento nel rito magico di pratiche del culto religioso. Ad una attenta
analisi descrittiva è però possibile cogliere la sostanziale diversità
dell’atteggiamento magico da quello
religioso, pur nella constatazione della profonda ambiguità e
dell'estrema complessità dell'agire religioso umano. E’ possibile cogliere,
quanto il rito magico, con la sua carica di
presunzione e il suo intento utilitaristico, differisca dall'atteggiamento
di pietà, aperto umilmente alla gratuità di Dio , e sempre, implicante, in qualche modo, l'offerta di se stessi, il sacrificio
della propria volontà”.
Se è chiara la differenza tra pietà e magia, lo è ancora di
più la distanza e la differenza con la superstizione che va intesa come pura
osservanza di divieti e pratiche motivati da un irrazionale e inspiegabile
timore di imprevisti negativi o eventi tragici: ad es. evitare di viaggiare
certi giorni della settimana o del mese, fare scongiuri in certe situazioni
particolari, utilizzare oggetti ai quali si attribuisce una peculiare carica di
positività o di negatività, ecc… La superstizione porta a pensare e ad agire
muovendo da un’assioma: “non è vero, ma ci credo!” E ciò evidentemente si
distanzia enormemente dalla pietà che invece si basa essenzialmente sulla fede
e manifesta un rapporto personale del credente con Dio e con i santi, senza
timore e senza irrazionalità come avviene invece per l’uomo superstizioso.
Osserva dunque giustamente il già citato Direttorio
per
4.
POPOLARE
Anche il termine « popolare » va rettamente compreso nella
sua specificità. Si tratta del popolo di Dio, inteso non come un'entità
primariamente sociologica, che può facilmente scadere nella lettura riduttiva
del marxismo, ma popolo di Dio secondo l'accezione che ritroviamo nella Sacra
Scrittura e nei documenti del Vaticano II. Soltanto una lettura superficialmente
gramsciana poteva far pensare che l’aggettivo “popolare” in riferimento alla
pietà potesse implicare connotazione di classe e richiamasse dislivelli
culturali, cioè una sorta di contrapposizione e di distanza nonché di
separazione tra l’élite aristocratica o intellettuale e la massa degli umili e
degli incolti. In realtà, ad un’indagine storico-teologica non è assolutamente
dato di rilevare alcuna diversità in uno stesso ambito ecclesiale tra pietà del
nobile o del borghese e del contadino o artigiano. Il popolo di Dio è uno e uno
solo, anche se evidentemente questo universale popolo di Dio va cercato nel
particolare in cui si concretizza, cioè in un tempo e in un luogo dove
storicamente è presente. « Popolare » dunque può essere tradotto con « locale »
e, di conseguenza, la pietà popolare è quella propria di una determinata Chiesa
particolare. Esiste dunque la pietà
popolare della Chiesa nissena e, in qualche modo, la pietà popolare della
comunità ecclesiale di Campofranco.
In tal senso la
pietà popolare ci fa cogliere nel suo esplicarsi e nel suo prolungarsi
nel tempo e nello spazio il rapporto dinamico tra tradizione e rinnovamento in
una Chiesa locale. Annota ancora il Direttorio per
A conclusione di questa nostra riflessione, non si può non
condividere quanto ancora il Direttorio
per
Nel prossimo numero pubblicheremo l’intervento su San
Calogero del demo-antropologo dott. Antonino Frenda.