La Voce di Campofranco e l’apostolato di don Nazareno Falletta
2a - Ragguaglio bio-bibliografico


di Salvatore FALZONE* (continua dal numero precedente)

3. Il giornale «La Voce di Campofranco» Un pensiero ricorrente negli articoli di don Nazareno è quello di sant’Agostino: «ci ha creati per te (Signore) e il nostro cuore è senza pace finché non riposa in te» (Confessiones I, 1-2). Si può affermare che le riflessioni sul mistero della grazia presenti all’inizio del primo libro delle Confessioni del maestro di Ippona siano state un punto di riferimento costante negli articoli di don Nazareno. Ricorrono pure altri pensieri del vescovo di Ippona; ciò lascia capire che don Nazareno prediligesse il teologo della grazia; però, più che approfondirne il pensiero teologico ne coglieva i risvolti per la vita sociale e la santificazione personale . L’impostazione in tutti gli articoli religiosi scritti per «La Voce di Campofranco» era di offrire una parenesi ai fedeli da guidare ad una santa condotta di vita; da questo si comprende l’attenzione costante alla formazione etica e al valore della famiglia. Dall’ottobre 1980 al marzo 1981 don Nazareno scrisse 4 articoli per spiegare succintamente il Decalogo. Essi richiamano ai doveri del cristiano verso la Chiesa, lo Stato e la famiglia, considerati come tre tipi di società in cui l’uomo realizza i fini naturali e soprannaturali. Altresì gli articoli del 1982, che contengono riferimenti all’anno liturgico (Natale, Candelora, Quaresima e Pasqua, il Corpus Domini e il Sacro Cuore, Ognissanti e il culto dei morti, etc.), vengono a formare un filone a sé, a partire dal primo: Mese per mese con la liturgia (XXII [1982] 1-2).
Di certo rappresentava un segnale per don Nazareno che santa Rita fosse una monaca agostiniana; ma questa circostanza ci sembra contingente. Don Nazareno, essendo venuto a contatto con gli scritti di Chiara Lubich, citava pure qualche pensiero della fondatrice dell’Opera di Maria o qualche pensiero di Carlo Carretto. Altresì per il movimento del GAM che si intrecciava bene con l’apostolato mariano. In tutti i messaggi si può osservare che manca un vero approfondimento intellettuale; non ci sono idee originali o un’elaborazione autonoma delle idee, né approfondimenti circa la dottrina delle fede, né interpretazioni di rilievo teologico della pietà popolare.
La preparazione di don Nazareno risentiva dell’insegnamento, non privo di carenze, impartito durante gli anni trenta nel Seminario di Caltanissetta, in particolare riguardo alle scienze bibliche. L’impostazione teologica degli studi era piuttosto scolastica e apologetica . Don Nazareno con “il giornalino di santa Rita” si porgeva come un parroco che, guardando costantemente ai vangeli, offriva una voce paterna e amica di correzione e consiglio, di dottrina e di disciplina . Il taglio didattico degli articoli di fondo risentiva di una visione omiletica e catechistica della vita pastorale, radicata nell’esistenza quotidiana sociale, attenta in certi casi agli eventi dell’attualità e della cronaca sociale. Gli articoli risultano comunque impostati bene: c’è un’idea di fondo e uno svolgimento coerente.
Il “catechismo giornalistico”, che si può ricavare dal periodico, consiste degli stessi titoli degli articoli che apparivano in genere in prima pagina. Ad esempio L’amore essenza del cristianesimo (XVIII [1978] 9-10); Il peccato è il più grande male del mondo (XXVI [1986] 1); La vita è il dono più grande (XXVI [1986] 6); Perdonare è amare eroicamente (XXI [1981] 7), sull’esempio del Papa, Giovanni Paolo II, che perdona al suo attentatore; La croce porta la salvezza e la gloria (XV [1975] 6), sulle sofferenze che sopportate in modo cristiano ci rendono veri discepoli del Cristo; Come vincere la violenza (XVI [1976] 5), interessante riflessione (che include un pensiero di Erich Fromm) su un episodio di delinquenza giovanile a partire dalla distinzione che «La terapia per gli psicologi è rivolta alla coscienza», mentre per il cristiano è rivolta al cuore dell’uomo; Dio fede preghiera (XII [1973] 1) sulla base di un pensiero di Paolo VI e di sant’Agostino, si propone una riflessione sulla fede e la preghiera; Ogni uomo è mio fratello (XXVI [1986] 9) riflessione sull’amore di Dio e del prossimo con uno scarno riferimento a un pensiero di Paolo VI; Cristo nostro modello e maestro (XXIX [1990] 2) in quanto solo il Verbo incarnato offre la verità che i filosofi s’affannano a cercare; I collaboratori di Gesù (XXIX [1989] 2), cioè coloro che seguono Gesù nel ministero ordinato; Maria Madre e guida dei cristiani (XXVII [1987] 8) catechesi in occasione dell’anno mariano.
È questo forse l’aspetto più rilevante: il bollettino era occasione per offrire una catechesi spicciola, immediata e comprensibile al popolo. Le esortazioni ad una vita morale integra, in quanto i fedeli sono chiamati ad essere cristiani, o meglio santi, discendeva da una formazione ascetica ricevuta in Seminario; essa valorizzava le virtù umane e le indirizzava ad un fine alto di apostolato e di testimonianza cristiana. Riguardo alla preparazione biblica e dogmatica si avvertono delle incertezze di contenuto, il linguaggio non è sempre chiaro e coerente, manca talora una cornice storica o dogmatica ai temi proposti. Ad esempio incerta è l’espressione teologica: «Gesù si è rivelato per fare possedere la vita eterna. Egli si è manifestato per mezzo dei patriarchi, i profeti ma specialmente per mezzo del Verbo suo Figlio. La parola scritta e tramandataci da Padre in Figlio guida le nostre azioni al suo servizio» . Leggendo l’intero articolo di don Nazareno si recupera l’ortodossia, ma la forma di esposizione del dogma, salvo rimaneggiamenti in fase di stampa, è deviante. In altri articoli si riscontra invece una piena ortodossia e finanche una forma letteraria assai efficace .
Altresì carente la conoscenza delle scienze bibliche; si riporta il pensiero comunemente trasmesso negli studi teologici per seminaristi degli anni tra le due guerre. Ricalcando la Providentissimus Deus (1893) di Leone XIII, don Nazareno riconosceva che gli autori sacri sono considerati strumenti secondari, in quanto mentre si dedicano a comporre un libro sacro sono assistiti da Dio: «Gli scrittori sacri con la loro intelligenza, compresero realmente, con la loro volontà scrissero fedelmente, esprimendo con lo scritto infallibilmente quelle cose e solo quelle che Dio volle fossero scritte» . L’intelligenza, la volontà e l’atto di scrivere sono i tre elementi antropologici chiamati in causa riguardo all’autorità delle Scritture nel trasmettere le verità divine. In un articolo del 1977, a partire da un pensiero di Carlo Carretto sulla Bibbia come libro per la vita, si aggiunge: «In essa [la Bibbia] la verità è contenuta in senso pieno al di là non solo della nostra comprensione ma anche di quella dello stesso autore sacro. È lo scrigno prezioso che attraverso i secoli il magistero della chiesa ci tramanda…» . Ma neanche questo articolo contiene un riferimento alla costituzione Dei Verbum del concilio Vaticano II sulla Parola di Dio; risulta almeno spostato l’accento dall’inerranza delle Scritture alla verità della salvezza.
È da comprendere pure che a motivo della brevità dei testi e della loro discontinuità, (in quanto nel corso di un anno, in modo quasi ciclico, i temi mutavano e si ripetevano di volta in volta temi molto cari) nel corso di un quarantennio è difficile esprimere degli approfondimenti, nonché può sfuggire quando e come un tema sia stato trattato in precedenza ; è comunque molto significativo che manchino anche solo citazioni di documenti della Chiesa Cattolica e perciò negli articoli di don Nazareno non si trovino accurati e puntuali richiami a testi del Magistero e a insegnamenti dei pontefici, se non qualche generico riferimento . Con tutto ciò l’insegnamento di don Nazareno risulta in piena sintonia con la dottrina della Chiesa, specie nel campo morale, e si può avvertire un radicamento nella teologia dogmatica, specie riguardo al mistero di Dio, del Figlio Gesù Cristo, dell’Immacolata Concezione.
Altro tema era la riflessione sul tempo cristiano suscitata dalla ricorrenza delle solennità e delle feste liturgiche maggiori, dal passaggio all’anno nuovo, dall’avvento della morte e perciò dall’approssimarsi del giudizio divino. Qualche passaggio: «Il tempo bene speso, nell’esercizio delle virtù ci fa meritare Dio» . E ancora «operare bene in ogni momento» a partire da una interessante spiegazione della parabola dei talenti . È sintomatico pure che come campione del tempo speso bene sia portato l’imperatore romano Tito a cui si attribuiva una massima secondo cui era perduto il giorno senza avere compiuto un’opera buona.
Le virtù del mondo romano erano colte nel senso di una conferma apologetica dell’evangelizzazione cristiana antica. Se un cristiano impiega bene il tempo compiendo opere buone si perfeziona la persona, si reca vantaggio alla società, si incrementa il progresso civile . Non s’infiltra qui un discorso di tipo pelagiano; è un richiamo a impiegare bene il tempo della vita terrena per trarne profitto dinanzi al giudizio e al premio celeste. La vita di perfezione cristiana non è concepita come un’eroica ascesa del singolo verso la divinità, ma come un cammino sociale vero Dio sommo bene. «La perfezione tecnica presuppone quella morale» . Questo pensiero compendia l’idea che il vero progresso morale e spirituale poggia sulla carità cristiana. Le vicende della vita era viste da don Nazareno con sodo realismo; esse sono di per sé così drammatiche che il cristiano trae beneficio dalle sofferenze, nel senso di distaccarsi dagli affanni e dai beni della terra per tendere a Dio, fonte di gioie durature. All’ascesi verso il cielo si oppone invece la folle corsa umana vero i piaceri, le ricchezze, le occasioni di peccato e di rovina.

Fine


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