New York e dintorni. Grattacieli e incontri con gente di casa nostra
Reportage di don Salvatore Falzone


1. Nel cuore del dolore
Fra gli eroi che hanno soccorso per primi le vittime incastrate fra le macerie del World Trade Center, colpito nell’attentato terroristico del 11 settembre 2001, si ricorda un pompiere di cui la famiglia è di origine italiana: Frank Palombo, ha lasciato la moglie e 10 figli. Il suo eroismo civile ha pure una connotazione religiosa: è stato uno di coloro che ha seguito il cammino neocatecumenale, sin dalla prima ora, a Manhattan, presso la chiesa cattolica St. Columba.
Ora il sito del World Trade Center appare espiantato, come un ventre della terra impietrito nel dolore. La Città di New York ha perso un’opera notevole: un centro commerciale e direzionale di importanza strategica. La Big Apple, come si suole chiamare la metropoli ameri-cana, è stata derubata di numerosi figli. Una croce superstite formata casualmente da 2 assi in metallo con un braccio che risulta schiacciato da un lato, resta nel sito del WTC come testimonianza di dolore.
Non lontano da New York si trova Garfield, nella diocesi di Newark: queste località si trovano nello stato del nel New Jersey, al confine con lo Stato di New York. Qui nel luglio 2005 ho conosciuto altri sacerdoti, ho colto la vita che si svolge in una parrocchia americana, sono venuto in contatto con molti emigrati.
Gli americani hanno molte radici culturali e antropologiche: gli italiani che vivono dentro o fuori New York si riconoscono in qualche modo da alcune caratteristiche. Nella metropoli più rappresentativa d’America si trovano italiani figli di emigrati: si è formata già una se-conda o una terza generazione di italiani americanizzati. Oggi Little Italy è abitata da pochi italiani: vi rimangono caratteristici ristoranti: molte abitazioni, una volta rifugio di numerosi italiani, sono abitate da cinesi della vicina China Town. A Brooklyn si sta costruendo una seconda Little Italy.
Gli italiani, come altri popoli, hanno ricostruito in America gli ambienti sociali lasciati in patria. In tal modo si conservano le radici sto-riche o almeno si piantano queste dentro un nuovo terreno e si cura lo sviluppo di nuovi polloni. Delle tradizioni religiose importate dai fedeli in USA prevalgono quelle legate ai santi e alle confraternite; oggi si chiamano “Società”. Ogni society richiama i compaesani intorno alla festa di un santo o della Madonna, ne cura i festeggiamenti e ne propaganda la pietà reli-giosa. Fra correligionari e compaesani vi è una mutua implicazione. A Garfield, nel New Jersey, si trova ad esempio la Società di sant’Antonio di Padova e di san Ciro.
L’America è in effetti un Paese grande e illustre; su un piano religioso offre molte opportunità; anche sul piano della santità cristiana è una terra che offre la possibilità di un impegno radicale, generoso e vivace. Gli emigrati hanno speso molte energie negli States. In tal senso ora mi raffiguro meglio lo spirito apostolico del sacerdote ritratto nel romanzo, di edificazione morale e civile uscito in America nel dopo-guerra: The Cardinal di Scott Morton; penso pure al libro più famoso di Thomas Merton, monaco trappista; l’autobiografia La montagna dalle sette balze. Si apprende in USA un senso di imprenditoria religiosa che forse non ha pari in nessun’altra nazione del mondo.

2. Una nuova patria
Oggi a New York e dintorni sono cresciute le popolazioni di origine ispanica: lo spagnolo è diventato una seconda lingua. È sintomati-co che un vescovo ausiliare di Newark sia brasiliano: monsignor Edgar da Cunha. A Hoboken sono concetrati molti ispanici: i fedeli delle parrocchie cattoliche si rimescolano: naturalmente sono presenti altri emigrati da altri Paesi del mondo: sono presenti immigrati dal sudest asiatico e dall’Europa dell’est. Molti cittadini si sono riversati a Hoboken nel giorno dell’Indipendence Day: sono americani, anche se di diverso colore, sono cittadini del Paese più influente nel mondo, anche se professano religioni diverse. Le sponde occidentali del fiume Hudson offrono una posizione favorevole per contemplare i giochi pirotecnici: lo spazio visivo è immenso, ma risulta proporzionato: i grattacieli di Manhattan sono sovra-stati da esplosioni: sembra la prova di un pittore che tenta di colorare il cielo notturno della metropoli più multietnica che ci sia. In mezzo alla folla numerosa che assiste alla festa nazionale più attesa dal popolo americano, emergono volti, gesti e atteggiamenti molto variegati. Il modo di vestire non è tanto diversificato. A parte qualche abito caratteristico di donne, musulmane e hindù, in rispetto alla loro religione, per lo più il modo di vestire è omogeneo: si può dire che la maniera europea occidentale abbia prevalso nel corso del XIX secolo. Senz’altro in mezzo alla folla ci sono armeni, filippini, indiani, africani, russi, giapponesi… ed europei.
Oggi l’America è un paese in Guerra. I soldati americani sono impegnati nel fronte del medioriente. Le automobili portano una sorta di fiocco adesivo che recita: support our troops. Le vie delle città sono costellate di bandiere: la nazione non può dimenticare gli uomini impegnati in Iraq. C’è a N.Y.C. un luogo particolare che suscita l’orgoglio e lo spirito di combattimento: è l’Intrepid Sea, Air & Space Museum. L’intrepid è una portaerei navale ormeggiata in una darsena della Baia di Hudson; ospita un Museo che contiene mezzi militari di cielo di terra e di mare. In particolare evoca una fase delle battaglie compiute nel novembre del 1944 nel sudest asiatico. In quel periodo le navi da guerra americane hanno subito attacchi kamikaze giapponesi. Fra gli ospiti dell’Intrepid Museum ci sono veterani di Guerra e bambini cri-stiani, giovani giapponesi e americani, turisti italiani e donne hindù.
Gli americani hanno una capacità particolare di educare al senso della Patria tutte le generazioni e le etnie presenti sul territorio. Fra gli stand allestiti se ne trova uno che riguarda soccorritori e vittime del World Trade Center. Si può trovare chi prega per le vittime di un atto di Guerra e chi gioca dentro le carlinghe dei caccia bombardieri.
La tappa più lontana del mio itinerario è stata Philadelphia; è una città celebre perché conserva le testimonianze della nascita della na-zione e della democrazia americana. La città è assai accogliente, si può visitare l’Indipendence national historical park gratuitamente, trarre gratificazione dai servizi resi in modo premuroso e rispettoso. In un certo senso mi pare buono imitare il radicamento storico vissuto con orgoglio dagli americani. Ricordo che una volta, mentre si faceva colazione, John vedendo spuntare sul forno microonde l’ora 9.11 si è fermato per recitare il pater noster; così pure ho fatto io in ricordo delle vittime del WTC.

3. L’esodo

Un uomo deve tenersi sempre pronto a partire con un biglietto senza ritorno: avere la forza di amare ciò che è fatale. Ho conosciuto una donna italiana in età avanzata: era ancora una bambina, quando la sua famiglia ha lasciato l’Istria poco dopo la se-conda Guerra mondiale: è stata la sua salvezza. Vengono a trovarla dei nipoti dall’Italia, mentre altri si sono già ambientati da decenni in USA. Il titolo di un libro in italiano, su un tavolo del salotto, recita: Esodo e si riferisce ai profughi italiani che abbandonarono l’Istria, nelle settimane in cui si instaurava il regime di Tito. L’espianto non è stato certo indolore: in casa si conservano appese cartine dell’Istria italiana, libri d’arte e di storia sull’Italia si assiepano sugli scaffali, souvenirs e cimeli qua e là… restituiscono un clima di patriottismo. La casa è in vendita: si trova a Lodi, è circondata da un giardino ampio e da una autorimessa spaziosa.
C’è pure un altro comportamento adottato per radicarsi in America. La cittadina di Seaside Heights NJ è un comune a se stante, però di fatti è poco abitato in autunno e inverno. A Seaside Heights, hanno acquistato una casa i coniugi Maino per trascorrervi, quando sono libe-ri dal lavoro, vacanze e week end. La loro casa è arredata con simboli e figure del mondo marino. I coniugi Maino discendono da famiglie pugliesi: quando si entra in casa loro si crea già un’atmosfera di relax. Non lontano si trova il parco naturale di Island Beach. Il parco è cu-stodito, e alcune guardie forestali, per così dire, sorvegliano la spiaggia, le strade, le fonti d’acqua, etc... Le case di villeggiatura, seppure mo-deste nei materiali impiegati sono di valore: sono realizzate in modo da sfruttare al meglio gli spazi e curate in ogni dettaglio. Gli elettrodo-mestici sono essenziali. In questo caso si avverte l’animo pioneristico degli americani. Il loro atteggiamento di vita non si scoraggia di fronte agli uragani che periodicamente sconvolgono il territorio nazionale: essi ripartono da zero, comprano e vendono, lavorano e costruiscono di nuovo.
Ho raggiunto Garfield per visitare un amico: don Alfonso Picone, sacerdote del Cammino neocatecumenale, incardinato nella diocesi di Newark, NJ. Don Alfonso è originario di Acquaviva Platani, in Sicilia, e là vive la sua famiglia: ad eccezione di una sorella che vive a Londra. Nella diocesi di Newark, dove sono presenti numerosi cattolici, si trovano tre Seminari: uno è quello per i seminaristi minori: segue poi quello maggiore: entrambi sono seminari diocesani. Ho potuto visitare il Seminario maggiore, dedicato all’Immacolata, in compagnia del chierico John Barno, prossimo a diventare diacono; attualmente avvia gli studi di specializzazione in Teologia in un Ateneo romano. Il Seminario diocesano maggiore si trova all’interno della Seton Hall University, dove ha insegnato un sacerdote oriundo da Sutera (Cl): don Vincenzo Monella. Infine si trova il Seminario Redemptoris Mater, realizzato nei primi anni ’90. L’Auditorium di questo Seminario è dedicato proprio a Frank Palombo che è stato uno zelante catechista.
In mezzo al clero diocesano parecchi sono i sacerdoti di cui la famiglia in origine è emigrata dall’Italia verso l’America: Newark è la diocesi più rilevante dal punto di vista della storia degli emigrati cattolici polacchi, irlandesi e italiani; nel New Jersey sono approdate nume-rose cordate di famiglie. Si spiega così che vi siano nate numerose missioni per gli emigrati. Si è inserito proprio in questo ambiente l’opera di catechesi e carità svolta dalla santa Francesca Cabrini.

Continua 1


Ritorna alla Home Page