SOLENNI ESEQUIE NELLA CHIESA MADRE DI SAN CATALDO, 3 OTTOBRE 2006
Omelia di mons. Mario Russotto, vescovo della Diocesi di Caltanissetta
Un “gigante” col cuore di bambino
1. Nel preludio della Pasqua
Eccellenza Rev.ma Mons. Salvatore Di Cristina, Vescovo ausiliare di Palermo ed eletto Amministratore Apostolico della diocesi di Monreale, cari fratelli nel presbiterato e nel diaconato della Chiesa di Monreale e di Caltanissetta, carissimi don Massimo, mamma Giuseppina e familiari di Mons. Naro, gentili Autorità, cari Religiosi e Religiose, miei amatissimi seminaristi, figlioli tutti amati nel Signore,
la morte ha scavato una enorme voragine nella nostra Sicilia, ha inciso un’incolmabile solco e una ferita profonda nel nostro cuore, che solo con il balsamo della fede e l’unguento della speranza possiamo trasformare in cicatrice di salvezza.
Oggi la Chiesa italiana, oggi tutti noi siamo davvero molto più poveri e tanti di noi anche molto più soli. Con sgomento e attonito dolore stiamo vivendo queste ore di un lungo venerdi santo per l’improvvisa, inattesa dipartita da questo mondo dell’innamorato ispirato cantore della nostra Chiesa nissena e del sapiente autorevole Pastore della Chiesa monrealese. No, Dio non ci ha strappato tragicamente il nostro caro e amatissimo Aldo. La morte, con la sua inesorabile falce, ce lo ha rubato! Ma Dio Padre, nel Figlio suo morto e risorto, lo ha sottratto agli artigli della morte e lo ha preso con sé nella vita per sempre. E noi, e a noi, riconsegnerà Aldo – amico e fratello, Pastore e maestro – nella trasfigurazione dell’ultimo giorno, quando Dio sarà tutto in tutti.
In questo preludio della Pasqua, che oggi ci vede gremire questa Chiesa Madre di San Cataldo per porgere l’estremo saluto alla perla del nostro presbiterio, abbiamo ascoltato ancora una volta la lieta notizia della vittoria di Dio sulla morte, attraverso la morte e la risurrezione di Cristo Gesù Signore nostro.
Perciò con le parole ispirate del motto episcopale di Mons. Cataldo Naro, siamo chiamati anche questa sera ad intonare il “Miserationum Domini recordabor” del profeta Isaia (63,7): «Ricorderò le misericordie del Signore».
2. Nel silenzio della Croce
Il testo del vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta un tratto del racconto delle ultime ore di Gesù, in cui l’evangelista Marco mette in risalto la solitudine del Cristo morente, presentato come il Giusto abbandonato. La solitudine è tanto profonda che sulla bocca di Gesù affiora la preghiera del giusto sofferente (Sal 21), che si scontra con il silenzio di Dio.
Con le sue parole, i suoi atteggiamenti, le scelte della sua vita Gesù ha suscitato stupore, ammirazione, scandalo. Ma lo scandalo più grande è rappresentato dalla fine della sua vita: la sua morte in Croce. Scandalo teologico, perché la Croce mette in questione il modo di concepire Dio. Il cristianesimo, infatti, è scandalo e paradosso perché propone come Liberatore un uomo ucciso in Croce. Anzi, il patibolo della Croce è diventato l’emblema stesso del cristianesimo, perché sulla Croce Dio muore per amore dell'uomo che lo respinge! E' il compimento di quel tacere di Dio, per il quale non ha più senso parlare se non attraverso l'amare. Perché il silenzio è espressione d'amore che genera la vita.
L'unica parola, secondo il vangelo di Marco, che Gesù pronuncia dalla flagellazione alla morte è «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34).
Anzi, Marco dice che si tratta di un urlo che squarcia il silente soffrire del Cristo, di un alto inarticolato grido cui segue il gelido mutismo del cadavere. Cristo è il silenzio di Dio, ma lì, inchiodato alla Croce del non-senso, sospeso fra cielo e terra, Gesù grida forte il suo tragico «perché». Dall’al di qua degli uomini la risposta è l’incomprensione, il fraintendimento, il rifiuto. Dall’al di là di Dio la risposta è solo il silenzio offerente e accogliente. Proprio per questo “silenzio”, la morte di Gesù richiede prima che un atto di amore per Dio, un atto di fede nell'amore di Dio presente sotto il velo del silenzio. Non ci resta allora che celebrare il rischio della fede… perché, con il centurione, riconosciamo il Figlio di Dio nella morte e non nei miracoli (Mc 15,39). Perciò “Miserationum Domini recordabor”.
3. La Croce lieta notizia
La Croce svela e racconta un Dio che ama oltre il necessario. Per questo la Croce è una lieta notizia. Sbaglieremmo tutto se pensassimo all'evento del Calvario come a una sorta di disguido prontamente riparato dalla Risurre-zione. La Risurrezione è invece l’altra faccia della Croce, non la riparazione di una sconfitta, ma il segno che la Croce non era una sconfitta. La Risurrezione è il segno che la via della fedeltà a Dio e del dono di sé nell’amore è vincente, è una grande lieta notizia.
Per questo, cara mamma Giuseppina e carissimi figlioli tutti, solo nella prospettiva della Croce di Gesù la nostra esistenza umana segnata dalla croce acquista un senso. Nessuna croce del mondo può contraddire l'offerta di senso proveniente dalla Croce del Risuscitato alla vita. Anche la sofferenza, anche il pericolo, l'assurdità, il nulla, l'abbandono, la solitudine e il vuoto più atroci sono abbracciati da un Dio solidale con l'uomo. Dinanzi a noi si apre una via che non aggira ma attraversa la sofferenza, nella individuale vita di ciascuno di noi come nella società umana.
4. Nel segno della sofferenza
“Miserationum Domini recordabor”! E tu, caro Aldo, hai ricordato sempre le misericordie e le meraviglie del Signore, anche nel travaglio della tua lunga sofferenza, che mai lasciavi trasparire, mai ha frenato i tuoi slanci apostolici, mai ha rallentato il ritmo del tuo infaticabile spenderti per la Chiesa, per “le Chiese” che sono in Italia.
Giovane sacerdote, hai subito un’operazione al cuore e poi il trapianto delle cornee presso l’ospedale San Raffaele di Milano. Hai passato ore di calvario che incisero profondamente nella tua anima, mentre ti abbracciavi con fede alla croce di Cristo.
I limiti del tuo fisico, violentati continuamente dal tuo illimitato zelo apostolico, hanno suscitato in te una certa perplessità ad accogliere la nomina ad Arcivescovo di Monreale. E tuttavia hai generosamente accettato, perché hai compreso che era volontà del Signore e perché mai ti sei tirato indietro dinanzi alle difficoltà e alle fatiche della vita e del tuo ministero. E pienamente ti sei abbandonato alla volontà del Padre, rivelando una spiritualità tutta imperniata sull’essere e coraggiosamente vivere da figli di Dio. Al Padre non si dice mai di no. E non hai detto no anche nell’ora della morte, perché… «in sua voluntate è nostra pace».
5. La scienza eloquente del “bue muto”
Aldo, tanto e tanti in questi giorni dicono e scrivono di te. Ora che il tuo dire è tacere e la tua parola il silenzio, nell’assenza la tua presenza trova e dona luce, divenendo ancor più eloquente.
Tu, Pastore coraggioso e autorevole, punto di riferimento per l’intera società siciliana; figura illustre, che hai illuminato di conoscenza e di verità, con i tuoi studi e la tua imponente produzione storiografica e saggistica, la storia del nostra Chiesa e della società nissena.
Tu, che con rara e brillante intelligenza le dinamiche di questo popolo hai saputo leggere, interpretare e narrare con esemplare equilibrio di obiettività, finezza critica e sapienza comunicativa.
Tu, Arcivescovo Cataldo, esempio di dedizione e di impegno rigoroso e ricco di onestà intellettuale, di servizio disinteressato, di amore per la Chiesa e per la città degli uomini, questo amore e questa passione con competenza e infaticabile generosità hai incarnato nella quotidiana consegna di te, testimoniata con la sincerità, la semplicità e l’umiltà dei grandi.
Nato a San Cataldo da operosa famiglia dedita al lavoro dei campi, eri il primo di sei figli. Nella famiglia hai ricevuto l’esempio di una fede semplice, nutrita dall’Eucaristia e dalla pietà popolare: due linee che rimasero profondamente incise nella tua vita e nel tuo cammino culturale. Dalla mamma soprattutto hai imparato l’amore al nascondimento, la capacità di lavorare senza risparmiarti, la gioia costante di servire gli altri con passione, competenza, dedizione cordiale.
Da bambino hai frequentato la parrocchia del Rosario in San Cataldo affascinato dal parroco Gaetano Giunta, che hai ammirato sempre per la sua pietà e la sua azione pastorale e del quale, dopo la sua morte, hai tracciato un profilo pieno di ammirazione.
Dopo aver conseguito la licenza media a San Cataldo, sei entrato nel Seminario diocesano, tenuto per mano da mamma Giuseppina, quale “luce gentile” che sulle vie di Dio ti incamminava. Nella numerosa classe all’inizio vivevi appartato e taciturno, tanto che i compagni, riferendosi a ciò che avevano ascoltato nei tridui su S. Tommaso d’Aquino, ti chiamavano “il bue muto”, non solo per il tuo silenzio ma anche per il tuo fisico piuttosto pingue. Ben presto però quel “bue muto” aprì la sua bocca e fu il primo fra tutti i compagni. Agli esami per la maturità classica svoltisi fuori dal Seminario hai sbalordito la commissione e, pur presentandoti come alunno esterno, risultasti il migliore. Hai iniziato gli studi di teologia nel nostro Seminario ma poi, avendo il Vescovo Francesco Monaco deciso di mandare i seminaristi a Napoli presso la Facoltà teologica dell’Italia Meridionale, lì hai completato i tuoi studi.
6. Sacerdote “intelligente”
Ordinato sacerdote il 29 giugno 1974, sei stato il primo sacerdote ordinato dal venerato mio predecessore Mons. Garsia. E quella stessa sera hai celebrato la tua prima Messa sul sagrato della chiesa di S. Giuseppe a San Cataldo, concludendo il tuo discorso con queste parole: «Voglio essere una pietra viva nella Chiesa. Aiutatemi con la vostra preghiera».
Giovane sacerdote, ti sei orientato agli studi di storia della Chiesa moderna, perché volgevi la tua attenzione alla Chiesa di Caltanissetta, non per riesumare ruderi archeologici ma per ritrovare le sorgenti e i modelli da cui partire per il rinnovamento della Chiesa. Si comprende così il tema della tua licenza in storia: il movimento cattolico a Caltanissetta.
Il lavoro fu pubblicato nelle Edizioni del Seminario, come il primo dei quaderni di Presenza Culturale, che si sarebbero arricchiti di tanti tuoi studi.
L’archivio diocesano, che tu consideravi “il tabernacolo della presenza della Chiesa” fu da te consultato, studiato, amato e meravigliosamente ordinato.
Figure dimenticate dalla chiesa nissena e opere di servizio pastorale e di vita ecclesiale vennero alla luce. E così, Aldo, hai saputo rivelare le radici di una Chiesa che, pur breve nella sua vita, aveva lunghe esperienze di vita apostolica. Le figure dei Vescovi Gruttadauro, Zuccaro, Intreccialagli, Iacono e Monaco balzarono nella loro interezza. I lavori furono tanti, molti gli articoli e i saggi, che vanno dallo studio della predicazione del secolo XVIII al movimento cattolico del secolo XIX. L’apice del tuo studio fu la pubblicazione in tre volumi della tua tesi di dottorato “La Chiesa nissena tra le due guerre”, elogiata e presentata dallo storico Giacomo Martina.
Se oggi nei più importanti testi di storia della Chiesa nell’ottocento italiano si parla della Chiesa di Caltanissetta, come modello di rinnovamento pastorale nella linea di Leone XIII, il merito è tuo, Cataldo, e le tue opere sono citate nei testi dei migliori studiosi.
Collaterale a queste attività è stato l’avvio in San Cataldo del Centro Studi “Arcangelo Cammarata”, che si è rivelato negli anni - con i suoi convegni di studio, la presentazione di volumi e le tavole rotonde - il laboratorio di cultura più autorevole e significativo della nostra Diocesi e non solo, guardato con ammirazione e attenzione da tanti eminenti intellettuali d’Italia. I più illustri studiosi di storia, di pensiero, di attività sociali si sono sentiti onorati di poter offrire il loro contributo al Centro Cammarata.
7. Un gigante col cuore di bambino
Sbaglieremmo però se pensassimo a te, Mons. Cataldo Naro, solo sotto il profilo dell’eminente studioso. Mi pare di poter affermare che tu eri innanzitutto un uomo e un credente, gentile e cordiale con tutti, uomo di fede e di profonda preghiera. Aldo eri un prete appassionato del tuo ministero, un prete dalla forte passione per la Chiesa ispirata al rinnovamento del Concilio Vaticano II. Per questo vivevi la ricerca culturale e lo studio come servizio alla Chiesa, come servizio della Chiesa alla società.
Il tuo acume intellettuale, il tuo amore per la Chiesa, la tua scienza storica e teologica mai hanno fatto di te un cattedratico freddo e distaccato da tutti. No! Tu eri un gigante col cuore di bambino! E tutti mettevi a proprio agio, a tutti sapevi offrire un affabile sorriso e gentile accoglienza, per tutti trovavi tempo… per ascoltare, dialogare, scrivere un biglietto augurale. L’entusiasmo per la conoscenza e la passione per la Chiesa hai profuso in modo contagioso e fascinoso ai tuoi numerosissimi alunni, prima nell’Istituto teologico del nostro Seminario e poi nella Facoltà teologica di Sicilia a Palermo.
E quando in un momento delicato in cui eri teso e conteso fra la Facoltà teologica e la nostra Diocesi, hai avuto un momento di esitazione, il Card. Pappalardo ti volle a tutti i costi a Palermo dicendoti: «Alla Facoltà tu non sei utile, sei necessario!». Divenuto preside, hai elevato la Facoltà al livello delle grandi Università teologiche italiane, l’hai arricchita di nuovi istituti e hai creato un ponte con l’Università statale, realizzando un tuo sempre vivo anelito: costruire ponti di dialogo, di confronto e di reciproco qualificato contributo fra cultura e vita cristiana, fra scienza e fede.
8. Pastore buono e misericordioso
Il 18 ottobre 2002 sei stato eletto Arcivescovo di Monreale. Provasti un fremito di paura ad accettare, ma l’obbedienza e l’amore alla Chiesa ti sottoposero al nuovo giogo in Cristo e sei diventato il Pastore buono e coraggioso, saggio e misericordioso della Chiesa di Dio in Monreale. “Miserationum Domini recordabor”!
L’uomo di cultura si affinò in te al Pastore, rivelando un cuore semplice, con tutti fratello per tutti padre. Hai visitato le parrocchie, sulle quali hai scritto una Lettera pastorale. Parlavi con un linguaggio accessibile a tutti, ti sei accostato a dotti e ignoranti, preti e laici nella semplicità delle relazioni, improntate a chiarezza, umiltà, fermezza, dialogo e amore per la verità. Nel tuo cammino per la diocesi, insieme a tante consolazioni, hai sofferto incomprensioni, fraintendimenti e a volte anche provocazioni. Mai però ti sei scomposto, sapevi che un Pastore deve saper soffrire per il suo gregge e accettavi tutto in un silenzio orante e contemplativo.
Nella tua vita di uomo dal cuore puro e nel tuo vocabolario esistenziale non c’era posto per falsità e menzogna, disonestà e ingiustizia. E queste cose aborrivi insieme a superficialità e faciloneria. Aspetti che il tuo cuore di bambino non tollerava e non capiva, atteggiamenti di cui non trovavi spiegazioni e ti facevano inorridire confuso e smarrito.
Nella diocesi di Monreale hai animato convegni, hai creato il Centro Studi “Intrecciatagli” ma, per animare la diocesi tra cultura e vita cristiana, hai proposto i modelli della santità locale, invocati con una litania da te composta. Eri convinto che i santi sono parola di Dio viva, ai quali bisogna accostarsi per un serio cammino di Chiesa.
E questa comunione di santi hai proposto per il prossimo Convegno ecclesiale nazionale di Verona, del cui Comitato preparatorio eri Vice-presidente, oltre a ricoprire molti altri incarichi al livello nazionale. Fatiche apostoliche enormi, che ti portavano da una parte all’altra dell’Italia senza mai trascurare la cura per la tua diocesi monrealese.
Tu hai amato quella Chiesa con lo stesso straordinario e impareggiabile amore con cui la Chiesa nissena ti ha amato e sempre viva terrà la memoria del suo amore per te e della tua dedizione per essa. Perché, come hai scritto nella tua ultima Lettera pastorale alla Chiesa di Monreale, «Tutti siamo chiamati ad amare la Chiesa e la misura dell’amore non è data dal lavoro che compiamo in essa e per essa o dall’importanza che noi gli diamo… vorrei che questo amore crescesse e con esso ciascuno alimentasse il desiderio di appartenerle in maniera sempre più vera e, direi, più affettuosa e di contribuire alla sua costruzione in maniera sempre più gioiosa e convinta».
9. Luce gentile
Mons. Cataldo Naro, dal 1983 facevi parte della Comunità dei figli di Dio fondata da don Divo Barsotti. Non ti ha spinto la ricchezza culturale del pensiero di don Barsotti, ma la proposta di vivere “monaco nel mondo” in una via di contemplazione. Sì, perché tu eri un contemplativo, anche nell’esercizio di un infaticabile e irrefrenabile ministero; per questo hai potuto veramente “contemplata aliis tradere”, trasmettere agli altri ciò che hai contemplato. Hai contemplato il Signore nella presenza della Chiesa e il tuo studio era preghiera. Per questo hai insegnato ad amare la Chiesa scrivendo nella tua Lettera Pastorale: «L’amore alla Chiesa significa, anche, generosa capacità di perdono e di superamento di ogni risentimento per guardare con speranza al futuro che il Signore prepara per noi ed accogliere con animo libero i compiti che Egli ci affida… Tutti devono poter scorgere la bellezza della Chiesa…».
Una bellezza che rifulge nell’opera e negli scritti del tuo caro fratello e figlio nostro amatissimo don Massimo, che mi affidasti con delicate e pacate parole nel settembre del 2003. Egli brilla di luce sua propria, ma evidenti sono in lui i riflessi del tuo esempio e dei tuoi insegnamenti. Noi ci impegniamo ad accompagnarlo e custodirlo quale punta di diamante di questa tua e nostra Chiesa.
Aldo, senza di te siamo molto più poveri e anche un po’ più soli, ma tu, «dolcezza della sua Presenza non ti sentirai mai più solo» (D. Barsotti). Il Signore ha voluto cogliere per sé il fiore più bello del ricco giardino della nostra Diocesi e della Chiesa di Sicilia; a noi non resta che chinare il capo in un fiat di obbediente consegna e credente speranza.
Parafrasando le parole rivolte alla Beata Pina Suriano, con le quali concludevi la tua lettera pastorale sulla parrocchia, oggi, carissimo e amatissimo nostro padre, fratello e maestro a te dico: «Ora ti abbiamo come amico presso il Signore. Tu non puoi non ricordarti della Chiesa nissena che ti ha generato alla fede e ti ha accompagnato nel tuo cammino di santità; non puoi non ricordarti della Chiesa monrealese che in questi quattro anni hai ineguagliabilmente amato… fino a morire. Affido a te e al tuo appassionato amore intercedente le Chiese sorelle di Caltanissetta e Monreale in questo delicato e fecondo passaggio della loro storia».
E usando le parole della preghiera del Card. Newman, a te tanto cara, con te quelle parole vogliamo sussurrare:
Conducimi tu, luce gentile,
conducimi nel buio che mi stringe,
la notte è scura, la casa è lontana,
conducimi tu, luce gentile…
Io volli certezze, dimentica quei giorni,
purché l’amore tuo non m’abbandoni,
finché la notte passi tu mi guiderai
sicuramente a te, luce gentile.
Ritorna alla Home Page