MEMORIE D’AFRICA
(1.1.1936 – 4.10.1946)
di Giuseppe Scannella


Intanto, mentre ci approssimiamo a Iavello, uno spettacolo più unico che raro si presenta dinnanzi al mio sguardo, con un effetto impressionante di rara grandiosità: vediamo pascolare una sterminata mandria di buoi, con migliaia di capi, al di sopra dei quali troneggia una portentosa testa di toro con delle corna di almeno un metro ciascuno di lunghezza. Attratto da una simile circostanza, mi avvicino subito per fare una foto-ricordo, ma il sergente maggiore m'interrompe l'operazione sollecitandomi a risalire sul camion.
Rimettendoci ancora in marcia, proseguiamo per la nostra spedizione di conquista di questo immenso territorio accidentato, tutto solcato da torrenti e fiumi, in cui si alternano continuamente altipiani e montagne, con strade molto rudimentali e spesso anche pericolose, che si snodano ora su fondi valle, ora a mezza costa incassate nelle montagne a ridosso di profondi burroni, ora infine anche su crinali dai quali si possono ammirare paesaggi mai visti e suggestivi.
La cartina geografica delle pagine seguenti indica in modo più chiaro tutti questi spostamenti e le località citate in queste Memorie.
Intanto, mentre stiamo percorrendo queste strade-mulattiera, in posizione eretta sui camion, scorgo sul lato sinistro ad una certa distanza da noi un branco di una diecina di leoni che, lentamente in fila, stanno salendo dal fondo valle sulle alture di fronte a noi. Per evitare gesti inconsulti, un colonnello ci avverte di non sparare, perchè può essere molto pericoloso; così i leoni indisturbati continuano nel loro cammino. Dopo circa un'ora giungiamo ad Iavello, dove la popolazione ha già abbandonato le abitazioni fuggendo altrove consapevoli del nostro arrivo.
L'autocolonna di camion quindi si arresta proprio al limite di una grande piantaggione di granturco; io subito ne approfitto per balzare giù dall'automezzo e tuffarmi a raccogliere pannocchie di mais. A nulla servono i richiami del sergente Papa, perchè io faccio finta di non sentirlo e, tra un boccone e l'altro, provvedo a riempire lo zaino di quel prezioso alimento. Prima però di risalire sul camion, offro una pannocchia all'autista, un'altra al sergente e, secondo ormai le mie abitudini, una ad ogni mio compagno di viaggio. Il camion subito dopo si rimette in moto per posizionarsi all'interno dello accampamento, e altrettanto fanno tutti gli automezzi dell'intera armata; per cui passano delle ore prima che tutto l'accampamento sia organizzato secondo gli ordini superiori.
Successivamente con molta rapidità vengono impiantate le tende, e distribuita la solita carne, visto che i rifornimenti ancora non arrivano. Rifocillati, stendiamo una coperta per terra, vi ci adagiamo sopra e subito ci assopiamo vinti dalla stanchezza.
L'indomani, ogni soldato ha l'opportunità di fare una rapida ricognizione per il villagio interamente costituito da tucùl. L' unica baracca in legno, abitata precedentemente da indiani, viene subito preparata per ospitare lo spaccio della truppa. Infatti, una volta giunti i rifornimenti, acquisto due dentifrici Gibbs in lattine (come quelle delle creme per scarpe) per portarle alle mie sorelle Maria e Giovanna alle quali sono particolarmente affezionato.
Anche la vita religiosa prende il suo normale ritmo per opera del Cappellano militare P. Gaudisardi, Missionario della Consolata; egli celebra ogni mattina la S. Messa nella sua tenda ed io sono contento di accudire al servizio, coprendo puntualmente i circa 500 metri che mi separano da tale luogo.
La Domenica, invece, la Messa viene celebrata in forma un po' più solenne al centro dell'accampamento realizzando un altare di fortuna su uno dei camion opportunamente preparato per la circostanza (vedi foto n° 27).
Durante i 15 giorni di permanenza a Iavello, la mia tenda diviene mèta di tanti soldati, sottufficiali ed ufficiali che desiderano aver riparati i loro orologi guasti, in seguito alla fama di orologiaio che nel fattempo mi sono fatto in tutto l'accampamento. In verità il mio laboratorio è di una semplicità spartana, dovuta alle circostanze di avventura e improvvisazione; il tavolo è praticamente costituito dalla valigia di legno contenente gli attrezzi di lavoro posta sulla branda, ed io a cavalcioni su questa.
Orbene, un mattino mentre sono intento alla riparazione di un orologio, vedo entrare un Capitano di Artiglieria proveniente da una fortificazione posta su una delle alture circostanti.Appena entrato nella mia tenda, subito mi porge un pugno di polvere gialla su un pezzo di carta per sapere cosa sia; io, dopo un attento esame della stessa, suppongo sia oro, oro puro, al che egli aspettandosi una tale risposta, visibilmente soddisfatto estrae repentinamente dalla tasca una pepita grossa come una noce, me la regala e va via.

Foto n.27 - S. Messa su altare di emergenza

L'emozione e la gioia di ricevere un così bel dono non mi rende edotto della situazione che mi attornia, al punto tale che i commilitoni presenti al fatto, in un baleno, passandosela per curiosità di mano in mano, me la fanno sparire. Per evitare inimicizie, preferisco non deferire la cosa ai superiori, ed il tutto finisce lì con il solo ricordo di un tale avvenimento. Tuttavia, però, dopo alcuni giorni approfitto di una lettera inviata ai miei in Sicilia per inviare loro un pizzico di questa polvere. Data la posizione particolarmente favorevole sia per i venti che per la sufficiente superficie piana a disposizione, il Comando decide di realizzare un aeroporto, onde consentire ai nostri aerei non solo i rifornimenti ma anche le escursioni di controllo ed attacco delle postazioni nemiche.
Intanto si avvicina il momento di rimetterci in marcia per proseguire nella nostra avventura di conquista all’interno della Regione del Galla e Sidàma. , una zona sempre più impervia, cosparsa di laghi di grandi dimensioni e di alte montagne, dove i pericoli provenienti dalla natura e dal nemico diventano sempre più elevati e frequenti.
Pochi giorni prima di questo momento, però, avviene un episodio che dimostra come la fede in Dio ed il coraggio derivante dalla consapevolezza di portare aiuto al prossimo, abbiano il sopravvennto anche sui mali più gravi dell'Umanità.
In base ad un ordinamento che stabilisce di dare soccorso a qualsiasi indigeno che ne abbia bisogno, un mattino verso le 10 si presenta un donna avvolta in miseri panni per essere medicata. Il Tenente medico Adorno non appena alza quei cenci, inorridito, si tira indietro rifiutandosi di fare qualsiasi tipo d'intervento: si tratta purtroppo della temutissima lebbra.
Dopo un breve dibattito, allora decido di eseguire io la medicazione nonostante le severe osservazioni del superiore. Prelevo quindi la garza necessaria, del cotone ed il flacone dell'alcool per la disinfettazione, ma con sorpresa lo trovo vuoto. Alla mia richiesta di come si possa risolvere tale problema, il tenente mi suggerisce l'uso della benzina, che, da questo momento in poi diverrà per me il miglior disinfettante che esista grazie ai risultati che fin da questa circostanza ho avuto.
Prelevo dunque della benzina da una tanica posta lì accanto, e con spirito di carità e tanto coraggio, inizio a togliere quei miseri stracci dal corpo della donna. Tutti i presenti indietreggiano inorriditi nel vedere quel misero corpo cosparso interamente di piaghe, dal collo all'inguine, ed emanante un fetore incredibile.
Armato di pazienza, inizio con la disinfettazione, passo alla medicazione ed infine la fascio quasi interamente come fosse una mummia. Prima di salutarla, suggerisco ad un indigeno interprete di riferire alla donna che finchè noi staremo a Iavello lei dovrà venire ogni mattina per ripetere le suddette operazioni (vedi foto n° 28).

Foto n.28 – La lebbrosa di Iavello

La donna segue fedelmente il consiglio, e già al 2° giorno noto che quasi un terzo delle piaghe è in via di cicatrizzazione; purtroppo, però, l'ordine di ripartire arriva dopo soli tre giorni, per cui non è più possibile continuare in quest'opera pia ed insostituibile.
Intanto già fin dai primi scontri con il nemico si sono avute delle perdite umane, dei feriti e qualche disperso, e per difendere le postazioni occupate nonchè per curare in modo dignitoso i feriti, il Comando provvede a lasciare nelle principali località conquistate delle guarnigioni di soldati, creando dei veri e propri Presìdi militari con Ufficiali - armi - viveri - medicinali. Il numero degli uomini ovviamente varia da zona a zona a seconda dell'importanza strategica della località, ma è compreso comunque tra le 100 e le 200 unità.
I Presìdi più importanti creati in questa particolare campagna cui sto partecipando, sono : Neghelli; Agheremariam; Moiale; Daua Parma; Mega; Iavello; Sammalo'; Dilla; Giabassire'; Adiccio; Uondo; Irgalem; Sciasciamanna.
Da questo momento visto che l'Armata s'impoverisce di uomini sempre più riducendosi a 2.000/3.000 unità, diventa poco più che una Divisione e prende il nome di DIVISIONE LAGHI, al cui comando resta fino alla fine il Gen. Geloso e che diverrà famosa per il coraggio con cui ha affrontato la parte più insidiosa e difficile della conquista dell' Etiopia.
Durante tale avventura comunque, non è da sottovalutare l’aiuto trovato negli “àscari“ che si sono distinti per coraggio e fatica, pur consapevoli di combattere contro i propri fratelli.
Essi tuttavia mantengono inalterate le loro credenze e costumi pur vivendo a contatto di noi; la foto n° 29, infatti, mostra l’uccisione di un animale mediante profonda incisione del collo con una daga, dal quale il sangue che sgorga viene bevuto direttamente dagli astanti. Essi tra l’altro non mangiano carni di animali uccisi da altri.

Foto n.29 – Negro che beve sangue

Territorio occupato dalla Divisione Laghi

CAP. VII

LA REGIONE DEL GALLA E SIDAMA
La regione del GALLA e SIDÀMA prende il nome dai due principali gruppi etnici che l’abitano e costituisce all’incirca un terzi dell’Impero d’Etiopia. Su un totale di 353.000 Kmq. (poco più grande dell'Italia) abitano circa 1.600.000 tra indigeni e provenienti di varie razze, sulle quali comunque predominano i Gàlla ed i Sidàma.
La capitale è GIMMA (già capitale di uno dei tanti staterelli di cui è tappezzato il territorio etiopico), con 15.000 abitanti di cui 5.000 bianchi; essa è sita a 1750 metri sul livello del mare ed è attorniata da una corona di monti boscosi.
La città comprende anche Coci' (piccolo mercato) e GIREN (residenza del Sultano), ed è avviata ad un rapidissimo sviluppo sottolineato dal nuovo piano regolatore che prevede l'ampliamento ed ammodernamento della sua struttura nonchè l'insediamento di ben 12.000 bianchi (vedi piantina particolareggiata al Cap. XII).
L'Etiopia spesso viene confusa con l'Abissinia, la quale in effetti è da riferirsi solo alla parte settentrionale dell'Impero, con esclusione quindi di questa Regione. Comunque tale generica definizione deriva dall'arabo "hàbasciat" (mescolò) chiaramente allusiva della grande varietà e mescolanza di popoli presenti, e del tutto differente dal significato della parola Etiope che deriva dal greco eziops=uomo dalla faccia bruciata.
Gli Etiopici in genere hanno pelle di color bruno-rossastro molto scuro, capelli crespi a spirale larga, statura dalla media alla altissima, arti lunghi rispetto al tronco, mani e piedi piccoli, cranio allungato con viso ovale, fronte alta e stretta, occhi grandi a mandorla.

G E O G R A F I A

La struttura geologico-topografica dell'Etiopia è nel complesso molto accidentata sì da meritare il nome di Acròcoro, e presenta sostanzialmente i seguenti aspetti :
1) vasti altipiani in leggero declivio ;
2) una grande fossa che parte dal Mar Rosso, prosegue per la Dancàlia, costituisce la fossa dei laghi Galla e prosegue a sud oltre i confini etiopici ;
3) la composizione basaltica (vulcanica) delle rocce ha fatto sì che i fiumi abbiano inciso profondamente valli tortuose e accidentate, creando fenomeni di escavazione suggestivi, forre (gole) impressionanti, marmitte di giganti, alte cascate, ecc...
Alla base di tali formazioni risiedono numerosi fenomeni geologici che lungo i millenni hanno sottoposto questo territorio a continui e profondi sconvolgimenti con emersioni di blocchi lavici, con tensioni sollecitative che hanno provocato vistose fratture e fessurazioni d'ogni genere nelle quali si sono insediati fiumi e laghi anche di enormi proporzioni. Una tale struttura, se da un lato ha favorito l'insediamento di una folta vegetazione, dall'altra inibisce la realizzazione di facili e comode vie di comunicazione, imponendo spesso soluzioni ardite e pericolose, quali strade strette scavate nella roccia, tornanti sospesi a migliaia di metri d'altezza su burroni paurosi, anche se dai panorami spettacolari e suggestivi.
Il sottosuolo, anche se non ancora sufficientemente analizzato, offre ampie prospettive di sfruttamento di alcuni minerali d'un certo pregio, quali: oro (in filoni e in alluvioni); platino, minerali ferrosi e rame; combustibili fossili; sali potassici, magnesiaci e sodici. In particolare, poi, questa regione si distingue per la presenza di ottime sorgenti termali e minerali strettamente legate alla genesi della fossa Galla.

C L I M A E F L O R A

La regione dei Gàlla e Sidàma, dunque, essendo la regione etiopica più interessata dagli sconvolgimenti geologici, è la regione dove si è insediata la catena dei 9 grandi laghi Galla: Rodolfo, Stefania, Ciamo', Margherita, Auasa, Sciala, Abiata, Langana, Zuai, e tanti altri minori.
Tra l'altro l'altitudine media supera spesso i 2.000 metri, non di rado i 3.000 e culmina col Monte Gughe' (m.4.200).
Se a questi fattori essenziali del clima, si aggiunge il fatto che tale regione si estende dai 4° ai 10° latitudine Nord, tale posizione equatoriale, intensifica l'evaporazione di grandi masse d'acqua dando luogo a tutta una serie di precipitazioni frequenti che sono ora liquide (sotto forma di piogge torrenziali), ora solide (con brevi grandinate), ora infine aeriformi (con nebbie persistenti).
Anche la temperatura presenta aspetti particolari in quanto, ad una escursione termica annuale piuttosto bassa se ne contrappone una diurna abbastanza consistente e che può anche raggiungere i 30° (ad es. -3° di notte, +20° di giorno nelle zone Degà).
Con tali fattori determinanti ecco quindi naturale la formazione di una vegetazione lussureggiante, ricca, rigogliosa, fitta, ad alto fusto e diffusa; è facile pertanto passare da un fitto bosco ad una prateria, da un campo di grano ad un immenso prato.
Tuttavia però è sempre l'altitudine a favorire l'uno o l'altro tipo di vegetazione secondo le seguenti quattro zone:
1) - Quollà - da 0 a 1.800 m.; qui abbonda di tutto : arbusti e alberi spinosi, acacie, èbano, incenso, mirra, palme, liàne, caffè, limone, bambù, caucciù, bàobab, ecc...
2) - Uoinà Degà - da 1.800 a 2.500 m. ; qui crescono rigogliosi la vite, alberi dal legno pregiato, acacie, alberi ombrelliformi, conifere, piante grasse, bambù, felci, ecc..
3) - Degà - da 2.500 a 3.500 m., regno dei pascoli e dei prati.
4) - Urec - oltre i 3.500 m. con una vegetazione presumibilmente simile alla nostra alpina.

F A U N A

In un ambiente così vario e ricco di risorse naturali, anche la fauna si presenta estremamente varia, pur mantenendo sostanzialmente i caratteri tipici delle regioni indiane da cui traggono origine nella notte dei tempi. La fauna etiopica, ed in particolare quella dei Galla e Sidama, è sostanzialmente selvaggia e di grossa selvaggina, le cui specie più significative possono essere sintetizzate nei seguenti rappresentanti tipici:
l'ippopotamo ed il coccodrillo, che infestano laghi e fiumi; la zebra ed i bovini che costituiscono non solo un valido aiuto per le popolazioni nel loro lavoro ma anche fonte di alimentazione;
il cinghiale, l'antilope, la gazzella, l'ìstrice, la lepre, lo scoiattolo, il serpente (boa e pitone), sono altresì parte integrante di un sistema faunistico completo;
il leone ed il ghepardo, poi, sono i sovrani incontrastati della foresta e della savana;
la iena e lo sciacallo invece provvedono alla eliminazione di quanto potrebbe nuocere ad un sistema biologico in equilibrio;
la scimmia, il marabù, l' avvoltoio, e tanti altri animali che popolano questi territori spesso incontaminati dall' opera dell'Uomo.
A questo elenco molto sintetico non possono però sfuggire animali piccolissimi ma insidiosissimi quali la zanzara malarigena (apportatrice della terribile malaria), la mosca tsè-tsè (che tante vittime miete tra i capi di bestiame), la temutissima pulce penetrante (capace di scavare gallerie sotto la cute umana) ed infine la tèrmite (terribile formica capace di svuotare interamente i tronchi o i pali che costituiscono la struttura portante di una casa, e costruire vere e proprie colline chiamate termitai).

I N S E D I A M E N T I U M A N I

L'Etiopia è popolata da aggregati umani di razze diverse, le quali alternativamente, lungo i secoli, hanno prevalso l'una sull'altra.
Anche se l'etiopica può in genere considerarsi come una razza derivata da antiche mescolanze di razze europoidi con negridi, tuttavia sono due i gruppi genetici più importanti:
I
Etiopico Cusciti settentr. (tra cui gli eritrei) Alto Cusciti (abissini; amàra; sidàma; ecc) Basso Cusciti (gàlla; boràna; ecc.)
II
Negride Nilotici (zona dell’omo-bòttego)
Bantù (zona del giuba)
Dei due gruppi il più evoluto sembra essere quello etiopico in quanto si ritiene avente origine da infiltrazioni di genti provenienti dall'area mediterranea. Tra l'altro sembra che gli etiopici appartengano al ramo dei Camiti che prese il nome di Cusc'.
Le genti appartenenti ad uno stesso gruppo di provenienza, non sempre sono vissute in accordo tra loro, come nel caso della minoranza Sidama (200.000) secolari avversari dei Galla (2.350.000). A queste popolazioni locali, infine, si sono aggiunte varie genti provenienti dalle aree arabo-indiano-mediterranea, costituendo così un miscuglio di Arabi, Ebrei, Indiani, Armeni, Sudanesi, Greci, ed altri Europei.
Anche le lingue perciò sono quanto mai varie e difficili da imparare perchè dànno luogo ad un' uguale impressionante varietà di dialetti (come ad es. il "Meccia" dialetto Galla parlato a Gimma). I due gruppi inoltre hanno cultura e civiltà diverse.
La poligamìa in vigore tra le popolazioni musulmane e pagane, è più rara tra gli Abissini, mentre la famiglia, assorbita in un ordinamento collettivo, sta alla base della società. La parentela si forma solitamente in linea paterna (Patriarcato) ma non è raro il sopravvento della figura materna (es. il Matriarcato dei Cunàma). La prole è oggetto di cure amorevoli in quasi tutte le popolazioni, all'infuori di alcune barbare tribù Galla dove a volte le femmine vengono soppresse. La morte è accompagnata da alte grida e canti funebri, e spesso i parenti si radono i capelli (i Galla usano schegge di ossidiana). I reati di sangue, omicidio e lesioni gravi richiedono vendetta ad opera dei parenti dell'offeso e spesso viene applicata la legge del taglione.
Il diritto di proprietà terriera per i Galla e Sidàma non è molto chiaro e lineare, ma esistono somiglianze con i regimi feudali.
Le popolazioni sono dèdite ora alla caccia eseguita con arco e frecce (talvolta anche avvelenate), ora alla pastorizia, ora anche all'agricoltura praticata però con metodi arcaici. Alla varietà delle razze e delle lingue si accompagna logicamente una grande varietà di usi e religioni. Sia i Galla che i Sidama praticano un paganesimo imbastito di credenze e superstizioni che vanno dalla venerazione per il cane a quella per alcuni alberi e sorgenti di fiumi. Tuttavia però lungo i secoli si è verificata una profonda trasformazione ad opera dell'Islamismo e del Cristianesim, il quale, in particolare, entra in Etiopia all'epoca del reame di Axùm (vicino Adua, a sud di Asmara) fin dai primi secoli dopo Cristo affermandosi solidamente e dando origine alla Chiesa Copta abissina; oggi viene mantenuto vivo principalmente dai Missionari della Consolata di Torino.

S T O R I A

I primi insediamenti umani della regione etiopica sono avvolti nella leggenda; tuttavia è verosimile che sulle prime razze di Pigmei, Negri Nilotici e Negri Bantù abbia avuto il sopravvento la razza dei Cuscìti.
Ma il sensibile miglioramento della civiltà etiopica si deve ai rapporti con i Sud-Arabi che hanno sempre sciamato lungo le coste africane. Infatti le immigrazioni arabe hanno sempre portato ondate di civiltà più progredita ed evoluta di quella africana.
Questo enorme territorio di oltre 1.708.000 Kmq. (ben 5,5 volte l'Italia), con una popolazione complessiva di 8-12 milioni di abitanti, ha visto anche dal punto di vista politico molti sconvolgimenti causati non solo dai numerosi tentativi di conquista da parte degli Stati limitrofi (es. Egitto), ma specialmente dai continui conflitti interni dovuti all'enorme varietà di razze, religioni, usi e lingue (dal III sec. a.C. al II sec. d.Cristo). Si hanno così periodi di ripresa che si alternano continuamente a periodi d'isolamento e decadenza.
Dal III fino al VI-VII secolo d.C. si ha un periodo di splendore per merito del reame di AXUM (che si ritiene discendente dal regno di Salomone e dalla mitica regina di Saba), durante il quale il Cristianesimo diviene religione di libero culto. Dal VII al X secolo, invece, per i vari conflitti e per l'isolamento inflitto dagli Arabi, si ha un periodo di decadimento, di dissidi tribali, di mescolanze razziali e di soppressione del Cristianesimo. Una modesta ripresa agli inizi del X secolo viene sconvolta ben presto da un'invasione barbarica condotta da una Regina che la copre di rovine.
Si alternano intanto varie dinastie reali fino alla più prestigiosa del sovrano Zarà Iacòb (1433-'68); questi viene ricordato per le sue imprese militari, per la politica e per gli strettissimi legami col Cristianesimo. Anche la letteratura e l'arte assurgono a grande splendore.
Agli inizi del XVI secolo riprendono le lotte tra Musulmani e Cristiani, il Paese viene invaso e messo a fuoco e sangue; tutto è in rovina, finchè un pugno di 400 soldati portoghesi non interviene liberando l'Etiopia dai Musulmani e salvando il Cristianesimo.
All'interno però un popolo di razziatori, i Galla, conquistano ed occupano un territorio abitato da popoli di pastori ai primi gradini della civiltà, infiltrandosi anche nel territorio tipico abissino, con la triste conseguenza di un abbassamento sensibile del livello di civiltà raggiunto.
La ripresa dell'attività missionaria, favorisce fin dagl'inizi del secolo XVIII un ritorno del Cristianesimo arrivando persino alla sottomissione al Pontefice da parte del Re. Segue poi un ulteriore periodo di decadimento e d'isolamento ad opera dei Galla organizzati in bande al seguito del re, al punto che agli inizi del XIX secolo l'Abissinia ormai è sull'orlo dello sgretolamento totale.
In seguito si ha ancora un periodo di splendore con re Teodoro, il quale intraprende alleanze preferenziali con gli Inglesi; ma alla sua morte segue l'anarchia più totale. Nel 1872 uno dei tanti Ras (Capi di staterelli), un certo Cassà, si proclama Re dei Re, Negus Neghesti, col nome di Johannes, soggiogando altri Ras e lo stesso re degli Sciòa, Menelic.
Sul finire del secolo (1889) il Negus Joannes viene ucciso, lasciando l'Etiopia in una situazione politico-militare critica ; infatti è proprio in questo momento che l'Italia, d'accordo con l'Inghilterra, è impegnata ad occupare l'Eritrea. Menelìc ne approfitta, si dichiara Re dei Re, mentre nel frattempo l'Italia sancisce pubblicamente il diritto di Protettorato sull'Etiopia.
Inizia così per la nostra Nazione il periodo più duro ma anche più speranzoso di realizzazione di una Grande Colonia africana; tale realizzazione però da un canto viene contrastata da varie correnti europee, e dall'altro non sa utilizzare quella saggezza ed intelligenza politica necessarie a risollevare le sue genti che attraversano un periodo di profonda crisi economica, politica e morale.
Nei primi 25 anni del nostro secolo, l'Italia quindi allarga la sua sfera d'influenza su un vasto territorio, compreso l'Oltregiuba ceduto dagli Inglesi.
Intanto sale al trono del Leone di Giuda la Regina Zauditù, la quale, non avendo figli, lascia il trono al Ras Tafarì, il quale stipula con l'Italia un trattato di pace (1928). Ben presto, però, morti tutti i pretendenti al trono, nel 1930 il Ras si proclama Negus Neghesti col nome di Hailé Selassié. Egli tuttavia incomincia a governare il Paese mirando ad allontanare gli unici veri invasori del suolo abissino, gl'Italiani, potenziando sempre più gli armamenti e realizzando strade e strutture aventi carattere preminentemente strategico.
Questo è dunque il preludio al conflitto in atto, di cui le presenti Memorie rappresentano uno spaccato vissuto in prima linea.

CAP. VIII

La Divisione Laghi. Iniziano le prove più dure
Il 26 Luglio 1936, l’autocolonna si mette in marcia alla volta di Agheremariàm (alghe ), posta a 90 km. da Iavello e ad una altitudine pressocchè uguale.
Dopo alcune ore entriamo in una foresta fittissima di oltre una ventina di chilometri, costituita dalla solita vegetazione lussureggiante e intricata, con secolari querce e Podocarpi dal fusto grosso, altissimo e diritto, le cui numerose liane pendenti rendono più impenetrabile l'ambiente.
Verso le ore 14, però, l'autocolonna è costretta a fermarsi perchè la strada è stata sbarrata da numerosi tronchi di tali alberi ad opera del nemico con lo scopo di rallentare la nostra avanzata.
La mia solita curiosità mi spinge a balzare giù dal camion per vedere cosa mai sia successo. La pausa comunque dura poco, perchè gli operatori del Genio , sopraggiunti con tempestività provvedono immediatamente a tranciare con i loro potenti ed adatti mezzi meccanici i tronchi che ostacolano il passaggio, consentendo così all'autocolonna di proseguire senza altri intoppi.
Tuttavia, mentre i genieri eseguono tale lavoro, io ne approfitto per divertirmi ad usare per gioco le liane simulando il famoso Tarzan. Verso sera si giunge finalmente ad Agheremariàm, posta anch'essa su un altopiano in debolissima discesa, circondata da altissime montagne (M. Delo e M. Giabassirè: 4.000 circa) . Quì il Gen.Geloso decide di far accampare il grosso dell'Esercito, mentre ordina al Gen.Maletti di proseguire per la conquista del Monte Giabassirè.
Ad Agheremariàm resteremo praticamente per tre mesi circa, visto che ormai abbiamo raggiunto il " cuore " della vasta Regione del Gàlla e Sidàma dove avranno luogo i più duri scontri col nemico, ognuno di noi incontrerà la morte ripetutamente e tanti altri purtroppo la subiranno in modo più o meno cruento.
Io, intanto, fin dal mattino seguente l'arrivo, incomincio a fare qualcosa di mai fatto prima, spinto dal desiderio di eternare le numerose ed indimenticabili impressioni di questo periodo: alludo all'attività di "poeta" improvvisato. Inizio perciò il mio poema con i seguenti versi che proprio all'arrivo in questa località fanno riferimento :

- 1° -
Ad Agheremariam arrivo la sera
colla colonna Divisione celera,
con tremila Ascari e Italiani
aspettando il bel giorno di domani .

- 2° -
L' indomani ventisette Luglio
tutti pronti per nostro orgoglio
tenendo in mano paletti e tende
per fare i nostri accampamenti .

- 3° -
Quando tutto ho sistemato
sento chiedere da un soldato
rivolto, fuori, ad un graduato :
conosci Scannella, dell’autoportato?

- 4° -
Esco fuori e chiedo : chi vuoi ?
Voglio Scannella che ripara le ore ;
“ dàmmi quì, fammi vedere,
a chi ti manda di': ci voglion le sfere”.

L'accampamento dunque,posto ad un'altitudine di circa 1.700 metri, viene realizzato in modo che al centro vengono piazzate le strutture del Quartier Generale; ad una distanza di circa 200 m. da esso tutte le unità della Sanità e Sussistenza ; tutt'intorno infine i vari Reggimenti .
Si è provveduto subito fin dall'inizio alla fortificazione delle strutture del Comando generale, per far fronte ad eventuali attacchi da parte del nemico; per questo vengono utilizzati tronchi di alberi tranciati dal vicino bosco e piazzati in modo da formare una vera e propria difesa fortificata ( vedi foto n°30 ) .

Foto n. 30. Il Campo fortificato di Agheremariam

Per l'approvvigionamento idrico, i genieri provvedono ben presto a piazzare delle pompe idrovore sulle rive del fiume che scorre a valle, filtrando l'acqua opportunamente al fine di renderla la più potabile possibile. Il trasporto sia dei mezzi necessari che dell'acqua prelevata si deve purtroppo fare con l'ausilio di una scorta armata onde evitare ciò che è accaduto uno dei primi giorni dall'arrivo sul posto.
Infatti, il 16 Agosto un ufficiale, Tenente Lupo, e una scorta di 6 soldati, intrapreso il tortuoso percorso di circa 4 Km. che ci separa dal fiume, come ormai è solito fare ogni giorno per andare a prelevarvi l'acqua, vengono ad un tratto assaltati di sorpresa da una ciurma di abissini e, nonostante il loro indomito coraggio, trucidati barbaramente. Durante la commoventissima cerimonia funebre, in cui molti soldati abbiamo anche pianto, il Comandante comunica alle truppe d'intitolare a questo valoroso ufficiale il suddetto fortino, proponendogli anche la Medaglia d'oro al valor militare .
Intanto, il Gen. Maletti, giunto alle falde del M. Giabassire', è costretto ad accamparsi provvisioriamente sul posto a causa della strenua resistenza incontrata da parte del nemico, il quale tra l'altro lo preme ripetutamente con continui assalti che provocano anche delle perdite al nostro contingente.
La vita all'accampamento dunque si svolge quotidianamente col pensiero rivolto al pericolo incombente di agguati da parte del nemico e con la preoccupazione che non giungano in tempo i rifornimenti di materiali e munizioni.
I turni di guardia sono rinforzati ed ogni trovata adatta al raggiungimento di una maggior sicurezza è sempre ben accolta. Tra queste, ad esempio, ricordo volentieri l'idea utile di attaccare al reticolato del recinto tutte le lattine vuote che restano dopo il consumo della carne e d'ogni altro alimento in scatola ; in tal modo ogni qualsiasi tentativo di penetrazione furtiva notturna nel campo darebbe luogo ad un allarme originale.
Certamente non è la salvezza in caso di agguato, ma rappresenta sicuramente un qualcosa in più che si aggiunge a tutti gli altri espedienti messi in opera per far fronte ad un eventuale attacco del nemico; e tra questi indubbiamente la trincea posta a ridosso del recinto per tutto il perimetro dell'accampamento.
Qualche volta però, questa trovata porta a falsi allarmi, come quella volta in cui il tintinnìo delle lattine cui seguono degli spari da parte della sentinella, mettono in subbuglio tutto il campo, mentre al mattino seguente si scopre che ad essere abbattuto è un povero bufalo imbattutosi per caso sul recinto.
O come quell'altra volta in cui, mentre faccio il turno di guardia dalle 24 alle 02, sono messo in allarme da un branco di animali che nel buio della notte sembrano cani e che invece non sono altro che iene e licaoni (sciacalli) .
Intanto, dagli ufficiali più elevati in grado fino all'ultimo soldato, tutti hanno bisogno del mio intervento di orologiaio, per cui decido di chiedere al mio comandante, Ten. Adorno, l'esonero dai servizi di courvè e di sentinella per poter meglio ottemperare a tale compito . Questi gentilmente me lo congede, ma ben presto alcuni dei commilitoni incominciano a protestare in vari modi per la duplice gelosia relativa all'esonero dai servizi più pesanti ed all'incasso di soldi per il lavoro di riparazione.
A tal proposito ricordo che, per evitare contestazioni da parte dei cosidetti clienti, preferisco segnare le riparazioni effettuate direttamente sul fondo cassa degli stessi orologi riparati.
Un commilitone, particolarmente invidioso, va a protestare un bel giorno in furerìa cagionando le furie del Sergente Maggiore, ma ben presto le cose tornano come prima per il fatto stesso che tutti han bisogno della mia preziosa opera di artigiano insostituibile.
Ed è proprio in questa occasione che riprendo la vena del poeta proseguendo nello scrivere le solite quartine:

- 5° -
Passan tre mesi e dico a Di Vita:
“ ho guadagnato un po' di moneta”;
ma i compagni nel vederne tanta in mano
vanno a reclamare dal Serg. Magg. Vitrano.

- 6° -
Uno di questi in fureria v'a mormorare;
esce il Sergente e incomincia a gridare,
dicendo: “nessuno dev'essere assente
all' infuori di uno: l' attendente! “.

- 7° -
La vigilia dell'Assunta mi chiama un caporale:
“Scannella, chiudi la cassetta e va' a faticare! “
Subito mi alzo, e senza esitare
prendo la scopa e inizio a ramazzare .

- 8° -
Giunta la sera mi sento chiamare
dall'attendente del comando generale:
“ Vieni con me dal signor Tenento
che tiene rotto l'orologio d'argento”.

- 9° -
Andiamo assieme, ambedue svelti ;
mi presento al comando del Gen. Maletti;
il tenente mi dice: “ questo è un ricordino:
metti ogn'attenzione su questo orologino!”

- 10° -
“ Guardi bene, signor tenente,
a questa ruotina mancano i denti;
ma ci riuscirò pur con molti lavori. “
“Per ciò parlerò io ai tuoi superiori. “

Continua – 5

Le precedenti puntate sono state pubblicate nei numeri di: Gennaio-Febbraio, Aprile, Maggio-Giugno e Luglio 2006


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