La visita pastorale nella storia


“Il Vescovo è tenuto all’obbligo di visitare la diocesi…”. Così comincia il canone 396 dell’attuale Codice di diritto canonico (1983) in vigore nella Chiesa cattolica; ai canoni 396-399 è fissato l’obbligo per un vescovo di compiere la visita pastorale. Un modo di conoscere il governo esercitato da un vescovo è scavare negli archivi e attingere corrispondenze; di san Gregorio Magno c’è stato trasmesso un Registrum epistularum che ci aiuta molto a comprendere come il prefetto di Roma, divenuto monaco, diplomatico pontificio e infine papa abbia esercitato il governo centrale della Chiesa. Gregorio I si è avvalso pure dell’amministrazione dei fondi terrieri.
Bisogna pensare che in Sicilia si trovava il più cospicuo patrimonio della Chiesa di Roma; quando nell’autunno del 590 venne eletto papa, Gregorio, avviò solenni manifestazioni di penitenza per ottenere la grazia che s’allontanasse la peste da Roma e in seguito, per sfamare la popolazione locale, sollecitò il pretore della Sicilia ad aumentare il carico di frumento diretto nella Città eterne e ad accelerare la spedizione. Valendosi dei profitti che derivavano dai patrimoni della Chiesa, papa Gregorio I ha potuto soccorrere cittadini caduti nelle mani dei Longobardi che occupavano l’Italia del Nord, aiutare nobili decaduti in miseria, equipaggiare truppe di difesa; e all’interno della direzione della Chiesa, soccorrere monasteri, orfanotrofi, ecclesiastici poveri, restaurare chiese e farne costruire di nuove…
È vero che la sua azione si è realizzata, più attraverso lettere e arcidiaconi, preposti come rettori dei fondi, che compiendo viaggi e visite; ad ogni modo ha esercitato la carità pastorale mediante la predicazione e gli scritti, lo sviluppo del culto, l’incremento della vita monastica, la guida saggia delle diocesi e dei vescovi, la correzione dei subalterni e la repressione degli abusi.
Si comprende così per es. che un ecclesiastico, di nome Gregorio, abbia riparato a Roma; san Gregorio Magno ne parla nel suo Registrum epistularum. Gregorio trascorse un periodo di carcere a Roma, poi al termine del processo fu trovato innocente delle accuse mosse contro di lui; infine fu promosso come vescovo di Agrigento. Di Gregorio agrigentino, di cui si svolse un secondo processo a Siracusa, si sono però perse le tracce sul finire del VI secolo; ma nel culto, specie nell’Oriente cristiano, tempo dopo si è tramandata la memoria di un san Gregorio agrigentino, di cui Leonzio, monaco di San Saba presso Roma, ha scritto una Vita; non è certo però che si tratti dell’ecclesiastico promosso da Gregorio Magno.
L’opera di Gregorio Magno comunque è stata prolungamento di una prassi che negli Atti degli apostoli era già conosciuta; san Pietro per es. compiva delle visite pastorali (vedi Atti 9,32); più in generale, Pietro e Paolo sono stati pastori della Chiesa delle origini, hanno compiuto viaggi e visite per sostenere la fede e l’impegno dei loro fedeli, per conoscerne le condizioni di vita e soccorrerli con raccolte di elemosine. La prima norma elaborata sulla visita pastorale risale al Concilio di Tarragona (516); al can 8 si esorta il vescovo, secondo una antica tradizione degna di essere mantenuta, a visitare periodicamente le diocesi; tale disposizione è stata ampliata, e meglio determinata, sotto Gregorio I papa.
Lo scopo della visita pastorale è che l’autorità ecclesiastica conosca le condizioni del territorio e lo stato di vita dei fedeli a lui affidati nel governo, ne conosca i bisogni e vi provveda con zelo e carità. Il vescovo visiti luoghi, persone e cose: chiese e oratori, scuole e orfanotrofi, ospedali e oratori; osservi che il culto sia adempiuto bene e non manchino i mezzi necessari come vesti e suppellettili sacre; ispezioni i beni ecclesiastici, in specie archivistici e artistici.
Nei secoli passati, dopo il Concilio di Trento (XVI sec.) è stata incrementata la prassi della visita pastorale; campione, forse assoluto in Italia, è da considerare san Carlo Borromeo, vescovo di Milano per 18 anni; il Borromeo ha visitato innumerevoli parrocchie, ha provveduto alla nascita dei Seminari, ha convocato 11 sinodi diocesani e sei concili provinciali. Egli s’è dimostrato un grande riformatore della disciplina ecclesiastica e un convinto sostenitore della pace civile; ha speso la sua vita in numerose e difficili missioni condotte nel nord Italia. Per la diocesi di Bergamo si ricorda che ad avviare la pubblicazione degli Atti della Visita Apostolica di san Carlo Borromeo (1575) è stato don Angelo Roncalli nel 1908, quando era segretario della visita pastorale che il suo vescovo mons. Radini Tedeschi aveva avviato alla fine del 1905. Un’altra ricerca di don Angelo è stata, non a caso, Gli inizi del Seminario di Bergamo e San Carlo Borromeo. Non c’è dubbio che Giovanni XXIII si è ispirato alle grandi figure di vescovi pastori emersi dopo il Concilio di Trento: egli pur avendo avuto il governo di una diocesi in senso proprio solo per un breve tempo, dal ’53 al ’58, come cardinale patriarca di Venezia, tuttavia nella sua lunga carriera episcopale ha rappresentato in modo completo il pastore; da “papa di transizione” ha realizzato un sinodo per la diocesi di Roma; ha sollecitato il nuovo Codice di diritto canonico, (quello dell’83) ed avviato finanche un concilio ecumenico, il Vaticano II, con finalità pastorali.

Don Salvatore Falzone


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