Intervista a padre Gabriele Ferlisi, “ministro degli esteri” degli Agostiniani Scalzi


Negli anni ’50 da Campofranco sono partiti numerosi giovani e adolescenti per raggiungere case di formazione religiosa; da quella generazione sono germinate numerose vocazioni religiose; francescani, agostiniani… ma anche suore domenicane.
Ho rintracciato padre Gabriele (Calogero) Ferlisi a Roma nell’autunno scorso per avere un ragguaglio sul suo itinerario; da anni egli svolge il suo servizio nella Curia Generalizia degli Agostiniani Scalzi, che si trova nel quartiere Monteverde Vecchio, presso le catacombe di san Pancrazio. Padre Gabriele, nell’ultimo Capitolo generale del suo Ordine celebrato nel luglio u.s. è stato eletto Procuratore generale; in consiste questo ufficio?
Il Procuratore generale è colui che tratta le questioni dell’Ordine presso la Sede Apostolica; per intenderci, è colui che in termini civili è chiamato ministro degli esteri.
Le piace questo lavoro?
È un ufficio come gli altri al servizio dell’Ordine. Certo, l’esperienza insegna che quanto meno il Procuratore è in azione, tanto meglio vanno le cose all’interno dell’Ordine. Recarsi infatti continuamente al Dicastero per gli Istituti di vita consacrata induce a pensare che ci sono problemi da risolvere. Io ci vado poco, segno buono!
Nella sua vita si dedica molto a confessare e a predicare: e perciò applica l’insegnamento morale della Chiesa in ogni circostanza difficile. Dal 1995 è anche penitenziere nella Basilica di S. Pietro; come si diventa Confessore in S. Pietro?
Sì, mi piace molto il servizio delle confessioni. Per confessare in S. Pietro, occorre essere nominato dal Superiore generale e sostenere l’esame sulla dottrina e la prassi morale presso la Penitenzieria Apostolica. È un compito di grande responsabilità ma bello e gratificante. Conserverò sempre nel cuore l’indimenticabile esperienza delle confessioni durante l’Anno Santo del 2000: confessavo tante ore al giorno e nell’ultimo giorno di chiusura del Giubileo –
il ricordo mi stupisce ancora oggi – sono riuscito a confessare ininterrottamente senza mangiare e bere dalle 9,30 del mattino alle 23,30.
Padre Gabriele, al secolo lei si chiama Calogero; segno che proviene da Campofranco! Nel registro di Battesimo che si tiene in Parrocchia si ricava, ad esempio, che è stato battezzato da don Nazzareno Falletta il 7 febbraio del ’43. Cosa ricorda di Campofranco?
Ricordo tutto e niente. Difficilmente infatti riesco a mettere insieme la fisionomia delle persone col nome. Ed è spiegabile perché lasciai il paese quando avevo 11 anni nel 1954 per entrare nel seminario minore degli Agostiniani Scalzi a Valverde (CT); da lì fui mandato nel 1956 a Marsala; nel 1959 a Fermo nelle Marche e nel 1960 a Roma. Al paese tornavo una volta all’anno per trascorrere qualche settimana di vacanza con i miei genitori, mia sorella, i parenti e gli amici; ma era troppo poco il tempo per memorizzare bene tutti e tutto. Comunque amo Campofranco.
Perché ha scelto di entrare tra gli Agostiniani Scalzi?
Perché c’erano già tre Agostiniani Scalzi di Campofranco: P. Celestino Zaccone, P. Ignazio Salamone e P. Cherubino Falletta, che si era ordinato sacerdote proprio nel 1954. L’esempio trascina, e io ho voluto essere come loro. In questa scelta nessuno mi ha ostacolato; anzi tutti in famiglia e fuori – ricordo in particolare mia zia Sr. Benigna Ferlisi e Mons. Randazzo – mi hanno sostenuto e incoraggiato.
Può dirci quali sono state le tappe del suo cammino religioso-sacerdotale? Ho fatto gli studi medio-ginnasiali a Valverde e Marsala; il liceo a Fermo e Roma; gli studi di filosofia e teologia all’università gregoriana a Roma, dove ho conseguito la licenza in filosofia e la laurea in teologia dommatica. Ho fatto il noviziato e la professione semplice a Marsala; ho emesso i voti solenni a Genova il 29 settembre 1965; sono stato ordinato sacerdote da Mons. Francesco Monaco a Campofranco il 27 dicembre 1967. In quali campi di apostolato si è soprattutto dedicato? Oltre che nelle confessioni, come ho già detto, nella formazione dei giovani alla vita religiosa e sacerdotale, nell’assistenza agli ammalati (la maggior parte terminali) in una clinica di Roma, nel servizio all’interno dell’Ordine nella curia generalizia, nella predicazione di ritiri e corsi di esercizi spirituali a sacerdoti, seminaristi, suore e laici e nel campo degli studi agostiniani.
Ha insegnato nelle scuole?
È proprio incredibile! Io, secondo i progetti, avrei dovuto svolgere l’apostolato prevalentemente nella scuola, e invece in tanti anni di sacerdozio ho fatto solo tre quarti d’ora di sostituzione a un confratello. Davvero il lavoro mi è stato programmato dal Signore!
Ha scritto dei libri?
Sì, ne ho scritti diversi. Ricordo, in particolare, “L’inquieta avventura agostiniana in cerca di Dio”, dove ho descritto il cammino spirituale di S. Agostino e, di prossima pubblicazione presso l’Editrice Ancora di Milano, “Con me solo davanti a Te”; “Insieme sui sentieri della carità”, due libri di meditazioni agostiniane, di oltre quattrocento pagine ciascuno, dove ho raccolto il meglio dei miei studi e la sintesi della predicazione. Dirigo la rivista dell’Ordine “Presenza Agostiniana”.
P. Gabriele, voglio farle una domanda, come si suol dire, a bruciapelo: è contento di essere sacerdote e agostiniano scalzo?
Sì, sono felicissimo. Sento forte la passione di essere sacerdote, discepolo di S. Agostino. Sono sereno. Non ho soldi né ricchezze materiali. La mia ricchezza più grande è l’amicizia con Cristo. Ricordo con commozione e gratitudine quanto dicevano mio papà e mia mamma: “U Signori aiuta i puvurieddri”. Ai giovani vorrei dire: è proprio bello seguire Cristo sulla via dell’umiltà e dell’amore!
Il clima mite nei giorni di freddo autunno trascorsi a Roma corrisponde in un certo senso allo spirito agostiniano: disciplina morale e intellettuale, unita a moderazione nella vita comune. Gli agostiniani scalzi professano pure un voto di umiltà, col quale si prefiggono di non ambire cariche e dignità ecclesiastiche; è ciò che li distingue dagli agostiniani calzati. La distinzione è sottile, anche se di fatto sono due rami dell’Ordine monastico avviato dal Santo di Ippona. Uscendo dalla Casa religiosa la percezione dell’umiltà e della semplicità è convincente; come un raggio di sole nel clima austero di una giornata monastica.

Don Salvatore Falzone


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