Alla ricerca delle nostre radici
Le abitazioni di Sutera tra l'Ottocento e il Novecento
prima parte

1) Antonino Vaccaro, medico di campagna.
Nel 1890 viene dato alle stampe a Napoli un libretto senza pretese, di appena 77 pagine, dal titolo " Sutera e la sua Geografia Fisica sotto l'Aspetto Igienico". Semplici "appunti" li aveva definiti l'autore, Antonino Vaccaro, un giovane che insieme alle conoscenze mediche si era imbevuto a Napoli di cultura positivista, di una illimitata fiducia nella scienza e nel progresso, deciso a cacciare dal corpo le malattie e dall'anima le superstizioni e i pregiudizi.
E tra queste superstizioni una riguardava il colera che nel 1867 aveva devastato mezza Italia procurando a Sutera 300 morti ( soffiato, secondo alcuni, con una canna) e devastando anche Campofranco (ne esiste un drammatico e toccante resoconto di Edmondo De Amicis, l'autore del libro Cuore).
In seguito alla ricomparsa del colera in alcuni territori del regno, nel 1885 il Governo ordina una inchiesta sociosanitaria allargata alle condizioni generali di vita degli uomini e del bestiame, alle risorse economiche dei paesi, lo stato dei servizi, con acqua e strade in primo luogo.
Il Vaccaro per conto del Comune rispose diligentemente alle 21"questioni" sollevate, proponendosi in seguito di riesaminarle per farne un libretto.
Ed ancor prima che il libretto venisse alla luce ricomparve nel luglio 1887 il colera a Grotte e Racalmuto; e pur facendo a Sutera una sola vittima, rinfocolava l'antico sospetto che gli untori pagati dal Governo, o qualche oscuro nemico personale, fossero tornati a spargere veleno: " qualunque sforzo faccia ( il medico) onde dissuaderli da questi esaltati convincimenti, non solo non vi riesce", ma crea sospetti maggiori.
E in effetti il pregiudizio che in qualche casa del Rabato, dietro un muro di cemento, ci siano ancora delle casse piene del terribile veleno è arrivato fino a noi. Il luogo dove venivano isolati i malati delle epidemie era una parte del convento dei cappuccini.
Le risposte manoscritte al questionario ed il successivo libretto del 1890 dicono in sostanza le stesse cose, con le stesse parole, e tuttavia con qualche differenza di tono: più dettagliato e circostanziato il questionario, più appassionato e di largo respiro il libro in cui l'autore, guidato da una lucida coscienza civile, formula proposte ( che lui chiama "desiderii") sulla costruzione delle case, di un edificio scolastico, sulla pulizia delle strade, il flagello dei cani ( che di notte scorrazzano imbrattando tutto), la necessità di un regolamento di polizia urbana, il riordino del cimitero, la disciplina del macello, la abolizione dei letamai in casa, certe usanze del vestire, che lo rendono, senza presunzione, un valido esponente della "scuola" positivista in Sicilia.
Senza contare la sua battaglia quotidiana contro le fattucchiere e i ciarlatani della medicina, nella convinzione di essere un " precursore di idee che debbono avviare la società verso destini migliori". Ma noi lo chiameremo soltanto come a lui sarebbe piaciuto: un medico di campagna.

2) Il paese: censimento e lavoro.
Fino al 1923 il territorio di Sutera comprende anche l'antica Milocca: solo nell'epoca fascista Milocca diventerà comune autonomo, assorbendo anche la frazione di S. Biagio che allora apparteneva a Campofranco.
Per tale motivo chi vuole osservare l'andamento dei censimenti dei due comuni e sommarli insieme, troverà spesso una discordanza tra quelli forniti dall'ISTAT e quelli forniti dal Comune o dal Vaccaro (il "disturbo", sia pure minimo, probabilmente è provocato dalla frazione S. Biagio).
Al censimento del 1881 Sutera-Milocca conta 4.284 anime, con una leggera prevalenza femminile ( 2.262). Rispetto al decennio precedente la popolazione è aumentata di soli 387 individui. Non che le nascite fossero rare: nel quinquennio 1880/84 erano nati 1.017 bambini. Ma altrettanto numerose erano state le morti ( 687).
Nel paese esistono due sole miniere di zolfo, ma danno lavoro a poca gente del paese e a un numero ancora più limitato di fanciulli al di sotto dei 14 anni. La maggior parte della gente trova impiego nell' agricoltura.
Secondo il censimento del 1881 le donne sono tutte casalinghe, tranne 14 che fanno le serventi, o maestre (3), levatrici (1), fornaie (1) o impiegate comunali ( 4).
Gli uomini vengono così ripartiti:
Agricoltori 1043
Braccianti 741
Barbieri 14
Beccai 15
Bottinai 23
Calzolai 26
Fabbriferrai 3
Falegnami 9
Fatiraciati 2
Flebotomi 4
Impiegati comunali 16
Impieg. giurav (?) 2
Maestri comunali 4
Medici chirurghi 5 (?)
Militari 36
Muratori 14
Notari 1
Osti 5
Pastari 4 (?)
Panettieri 4
Possidenti 20
Sacerdoti 6
Sacristi 6
Sarti 2
Servi boari 10
Studenti 7

Il paese, dunque, è contadino e povero (i possidenti sono soltanto 20). Pochi i pastori (in massima parte caprai) e pochi i commercianti che tuttavia aumentano in estate al momento della compera dei cereali. Del resto quanta moneta circola per il paese e che altro possono offrire i venditori?
Buoi e vacche non si macellano, servono nei campi; maiali e uova vengono in effetti venduti; pecore e capre danno latte abbondante per il formaggio, ma è spesso soggetto a malattie varie (vaiuolo, ipertrofia di milza, scabbia, vertigini).
Il numero di animali domestici è complessivamente elevato: 56 buoi, 73 cavalli, 127 asini, 791 muli, 300 maiali, 3.898 pecore, 650 capre e 100 cani (per la caccia o la guardia delle greggi). E mentre buoi e pecore vivono in campagna aperta, muli asini cavalli e buona parte dei maiali sono riparati nelle stalle.
Pertanto gran parte dei suteresi ha la stalla al pianterreno e l'abitazione in una stanza al primo piano. E' questo il senso della espressione: "tutte le case non si elevano al di là del secondo piano, compreso il piano terreno", confermata dal censimento del 1911.
La famiglia Castelli aveva in via Francesco Salamone un palazzo lungo 22 metri. Don Lorenzo era influente nella vita del paese (fu sindaco per molti anni) e ricco abbastanza da permettersi di sopraelevare come voleva. E tuttavia preferì alzare solo il primo piano. Ma ogni piano era alto 4,80 metri! La scala di collegamento doveva incutere negli ospiti una grande suggestione.

3) Tutta la vita in una stanza.
Ma purtroppo, dice il Vaccaro, il 20% delle famiglie ha una sola stanza e quindi "in un'unica abitazione trovi la mangiatoia con l'asino, in un angolo il letto, in un altro improvvisata una cucina, in fondo legna per ardere e paglia per le bestie, pochi oggetti per la stanza necessari al mestiere agricolo…in unica camera abita, dorme, lavora; in essa i fanciulli si ammucchiano durante il giorno, in essa si cucina, si fa il bucato e in essa tutta la famiglia dorme alla rinfusa durante la notte", insieme al letame che solo a settembre, prima dell'aratura, verrà portato in campagna. La sera, per sistemarsi, prima entrano gli animali, poi gli uomini. I figli, piuttosto numerosi, vengono deposti nella culla ( sic. naca) sospesa, per motivi di sicurezza e spazio, sopra il letto e via via allontanati a trovare un posto sempre più scomodo e lontano in qualche angolo della casa.
Pressappoco ai tempi del Vaccaro, un prete calabrese scriveva che il matrimonio non serviva solo a mettere su casa, ma anche a riconquistare da padre e marito quel letto presto perduto e invidiato. Unico mobile di questa stanza-casa è la "cascia", il guardaroba dei poveri, alta 70 cm e lunga 2 metri, che la donna portava in dote al momento del matrimonio.
Le famiglie benestanti usavano elencare tutti i capi della dote all'interno del "contratto di matrimonio, redatto davanti al notaio e testimoni, insieme ai fondi rustici devoluti.
Pertanto in un "contratto" del 1925 una giovane riceve un corredo stimato in cinquemila lire, indicate non perché se ne produce la vendita allo sposo ma ai soli fini della tassa di registro, consistente in "camice n. 35, sottane n. 13, matinè n. 11, copribusti n. 18, mutande n. 28, cuffie n. 3, fazzoletti n. 42, copri colonnette n. 2, tendine n. 2 paia. Tela di famiglia m. 22, federe n. 68, fersine n. 3, lenzuola n. 24, coperte n. 9 di cotone, coperta n. 1 di seta, coperta n. 1 di lana, centri di tavola n. 2 di filo. Trapunta n. 1, materassi n. 6 e cioè due pieni di lana, due pieni di crino vegetale e due vuoti. Cuscini n. 6 pieni di lana, tovaglie a spugna n. 5, tovaglie (asciugamani) di tela di casa n. 24, salviette tessuto in casa e cioè tovagliato per salviette m. 9, servizio da tavola per sei persone di cotone. Servizio da tavola di filo per dodici persone, due servizi da tavola per dodici persone ciascuno di cotone, servizio da caffè per dodici di cotone. Maglie di lana n. 3, strofinacci m. 8, calze n. 20 paia di cotone, abiti di lana e di cotone n. 7, coprisedie n.2. Altro centro da tavola di filo. Casse di legno di abete n. 4.
L'unico censimento in cui i dati ufficiali dell'ISTAT coincidono con quelli del Comune è quello del 1911, che per altro riesce a darci la popolazione di Sutera distinta da quella di Milocca.
Con una popolazione complessiva di 3.905 abitanti ( il conto è fatto sui presenti, non sui residenti), 1.220 suteresi hanno come unico tetto 360 terrani; altri 2.657 hanno anche un piano superiore al terreno (in 684 abitazioni) e solo 28 hanno anche altri piani (4 abitazioni in tutto).
In questo contesto l'uso generalizzato del dammuso risponde bene alle necessità di sfruttare al massimo gli spazi disponibili, come anche a sostituire il legno e limitare il ricorso al falegname ( i cosiddetti "mobili" di legno e gesso).
Mario Tona (1 - Continua)


Ritorna alla Home Page